Con “Giannella Channel” arriva anche “Anteprima”, l’utile spremuta dei giornali di Giorgio Dell’Arti che festeggia i primi mille numeri

Caro Salvatore, rinnovo ai lettori del tuo sito Giannella Channel questa possibilità: un mese di Anteprima gratis, semplicemente andando su anteprima.news e seguendo le istruzioni, e poi, per chi si abbonerà, uno sconto del 10% digitando nell’apposita casella la parola giannella. Che ne dici? Il tuo sito è troppo bello! Ciao.

Giorgio Dell’Arti, Roma

Risponde Salvatore Giannella:

Cari lettori, mi sento di tornare a incoraggiarvi a conoscere Anteprima (che festeggia le sue prime mille tappe) e, dopo il mese di fruizione gratuita, eventualmente abbonarsi con lo sconto riservato ai lettori di Giannella Channel. Con Anteprima vi collegherete a un mondo che macina giornalismo di qualità, valore importante nei giorni in cui l’emergenza sanitaria e lo stare in casa ha fatto salire vertiginosamente il traffico su Internet, non solo per lo smart working e per mantenere i contatti con parenti e amici, ma anche e soprattutto per informarsi. Ogni notte, il direttore Giorgio Dell’Arti (fondatore del settimanale il Venerdì di Repubblica: il suo profilo biografico è a questo link) e la sua redazione si svegliano alle 2, leggono i quotidiani della mattina dopo fino alle 6 e ne fanno un sunto che è molto più di un sunto ma un vero e proprio quotidiano che poi spediscono agli abbonati entro le 7. È un prodotto straordinario, non solo a parer mio. Leggete che cosa ne dice il grande scrittore Sandro Veronesi:

“C’è una novità nel giornalismo italiano. È all’apparenza una semplice newsletter, ma in realtà è un dito che tocca il nervo e produce un inevitabile sussulto: si chiama «Anteprima. Stamattina. Oggi. Domani», ed è firmata da Giorgio Dell’Arti. Si trova nella fase di lancio… è semplice andare a controllare personalmente quello che sto per dire, e soprattutto non costa nulla. Dunque, «Anteprima. Stamattina. Oggi. Domani»: qual è la novità? Qual è il dito che tocca il nervo?

Tanto per cominciare, siamo di fronte a un giornale vero e proprio — uno di quei giornali, tra l’altro, il cui titolo corrisponde al contenuto: poiché arriva per posta elettronica alla mattina presto, è senz’altro un’anteprima. Dopodiché, è diviso in tre sezioni: quella che riporta le notizie più importanti del giorno — «Stamattina»; quella in cui si espone l’agenda dei fatti più importanti attesi nell’arco della giornata — «Oggi»; e quella in cui si elencano i temi più importanti legati alla giornata successiva — «Domani». Sembra poco, ma in realtà non resta fuori praticamente nulla. Dopodiché, nello sviluppo di questo schema, Dell’Arti utilizza tutta l’esperienza accumulata nei suoi ormai cinque decenni abbondanti di carriera, e così facendo mette spietatamente a fuoco i problemi che minacciano l’attuale giornalismo scritto del nostro Paese.

Primo problema: la cosmesi grafica. Contrariamente alle più illustri testate anglosassoni, infatti, i giornali italiani sono stati erosi dalla grafica, a tutto danno del testo scritto. È stato calcolato che nel corso della loro evoluzione grafica le nostre principali testate abbiano perso circa cinque pagine di testo. «Anteprima» è solo testo: non ci sono nemmeno i titoli, o meglio ci sono, ma sono semplici capoversi come «Clamoroso», e «Cose di cui parlano tutti» — che sono ricorrenti —, o «Cioccolata», «Numeri», «Spacey», «Schemino», «Petrolchimico». Dice: che miseria. Vi assicuro che non è così. Semplicemente, «Anteprima» chiede d’essere letto, non guardato.

La cosa che rende «Anteprima» una novità è che si tratta di un giornale che chiede di essere letto dall’inizio alla fine.

Lo scrittore Sandro Veronesi (Firenze, 1959), laureato in architettura. Il suo ultimo romanzo, Il colibrì, della casa editrice La nave di Teseo, è stato votato come “Libro del 2019” nella Classifica di Qualità dell’allegato La lettura del Corriere della Sera e ha vinto il Premio Strega 2020, un riconoscimento già conquistato dall’autore già nel 2006 con il romanzo Caos calmo.

Secondo problema: la quantità di informazioni trasmesse. Trattandosi di testi molto brevi, e non essendoci titoli, occhielli e cappelli che distraggano dalla loro lettura integrale, quelli selezionati dal dazibao di Dell’Arti sono traboccanti di informazioni. Spesso estratte dagli articoli dei suoi colleghi della carta stampata — peraltro regolarmente citati —, spiegano in maniera molto chiara fatti di cui si fatica a ricordare i contorni nell’alluvione entropica di commenti, opinioni e interviste che li travolge sugli altri giornali.

Terzo: la selezione delle notizie e il criterio della loro successione, cioè la composizione, che alla fine connota «Anteprima» e gli dà una precisa identità anche politica, rendendolo facilmente giudicabile.

Ma la cosa che rende «Anteprima» una novità è che si tratta di un giornale che chiede di essere letto dall’inizio alla fine — ciò che, fino a qualche decennio fa, era la richiesta che faceva qualsiasi giornale, soprattutto quotidiano, proprio per l’evidente sovrabbondanza nell’offerta di testo rispetto agli altri materiali. Il recupero, cioè, dello spirito che ha accompagnato il rapporto tra i giornali e i loro lettori nell’arco di tutto il secolo scorso, e che è andato via via sparendo negli ultimi vent’anni, sostituito da un crescente compromesso, ben poco fruttuoso, con la non-lettura.

In questo senso, dunque, «Anteprima» è anche il dito che tocca il nervo: recupera, sì, lo spirito classico del libero giornalismo occidentale, e tuttavia lo fa in un’intrapresa d’impatto veramente minimo, artigianale, senza bisogno di grandi redazioni e di grandi investimenti, senza ricaduta sull’occupazione e sul fatturato dei gruppi editoriali. Ciò che nel secolo scorso era la regola su grande scala, oggi risulta ancora possibile, e godibile, e questa è una buona notizia, ma solo su scala molto piccola — e i giornali dai quali Dell’Arti attinge il proprio repertorio quotidiano rimangono alla deriva nel mare in tempesta senza che sia chiaro come di questa buona notizia possano fare tesoro. Nel frattempo, però, «Anteprima» ha già creato un suo crescente manipolo di seguaci pronti ad abbonarsi, tra cui me: mi sono già abituato a mettere la sveglia un quarto d’ora prima, al mattino, per poterlo leggere senza interruzioni e ci sono rimasto molto male, sabato e domenica scorsi, a scoprire che nei fine settimana non esce”. (Articolo uscito il 14 novembre 2017 sul “Corriere della Sera”).

Quindi, cari lettori, andate su anteprima.news, seguite le istruzioni e per un mese riceverete Anteprima gratuitamente, senza fare niente. Poi vi potrete abbonare a un prezzo speciale per chi segue Giannella Channel. Buona lettura (s. gian.)


SUL COMODINO DI … Giorgio Dell’Arti

Storie meridiane, storie ad arte del Sud: il nuovo libro di Lauretta Colonnelli (foto) in 25 gocce dalla A alla Z

Lauretta Colonnelli è nata a Pitigliano (Grosseto). Vive tra Roma e la Toscana. Laureata in filosofia, ha insegnato Storia del teatro alla Sapienza di Roma e ha lavorato come programmista-regista a Rai Radio 2. Giornalista dal 1979, prima alle pagine culturali dell’Europeo, dove l’ho avuta come compagna di stanza, poi al Corriere della Sera. Storie meridiane è il suo settimo saggio sull’arte.

Augusti. L’imperatore Augusto, talmente giocatore da disputarsi accanitamente le noci nelle partite dei bambini.

Bikini. I bikini delle ragazze affrescate in una villa romana di Piazza Armerina, in Sicilia, non sono costumi da bagno ma tenute da atleta. Strophium, la striscia di stoffa che copre il petto, subligar quella che veste il bacino.

Cicala. La cicala, in realtà ultima trasformazione di Titono, fratello di Priamo re di Troia¬¬¬¬¬, di cui l’amante sua Eos chiese a Zeus l’immortalità, scordandosi però di chiedere l’eterna giovinezza.

Donne. “Le donne perbene non devono odorare di nulla” (Svetonio).

Ettore. Afrodite tenne lontani i cani di Achille dal cadavere di Ettore spargendone il corpo con essenza di rose.

Forchette. Fino all’anno Mille niente forchette, e dopo l’anno Mille, per almeno sei secoli, anatema della Chiesa sulla forchetta, considerata strumento del diavolo. Nel Seicento il grande musicista Claudio Monteverdi, dopo averla usata in qualche cena d’alto bordo dove non ci si poteva esimere, faceva celebrare tre messe di penitenza.

Gigolò. Menandro, Felice, Frontone, Solenne, Vettio, Optato, Saturnino, Glicone, Marittimo: nomi di gigolò che appaiono sulle mura di Pompei.

Guttuso. La Vucciria era il grande mercato di Palermo. Renato Guttuso la dipinse nel 1974 standosene in Brianza, a Villa Dotti di Velate. E però pretese che arance, limoni, polipi semivivi, teste intere di pesce spada, pomodori, finocchi, peperoni, cardoni, zucchine, melanzane, salami, salsicce, vasi di olive sotto sale e tutto il resto gli arrivassero in aereo direttamente da Palermo. Quindi ogni mattina alle 9 tutto un traffico a Malpensa per questa robba destinata al Maestro e depositata alle 10 precise nello studio del pittore. Il quale spiegava che solo in presenza delle mercanzie vere della città gli tornava in mente il suo essere bambino, sentimento senza il quale il quadro non si sarebbe potuto fare.

Hampton Court. Il barone Corrado Arezzo de Spuches di Donnafugata, oltre a essere un dinamico politico, fu per tutta la vita un gran burlone. Il divertimento maggiore fu quando fece costruire il labirinto nel castello di Donnafugata (Ragusa). Lo fece costruire con la bianca pietra ragusana, la stessa in cui è scolpito il soldato che ne sorveglia l’ingresso. Il pirdituri, come lo chiamano i ragusani, riproduceva la forma a trapezio del labirinto di Hampton Court, il palazzo reale nei pressi di Londra.

Icaro. Il viaggio in Italia del pittore Pieter Bruegel il Vecchio cambiò totalmente il suo modo di lavorare. Bruegel assorbì soprattutto la luce calda del Mezzogiorno, inimmaginabile per chi come lui era cresciuto tra le brume dei Paesi Bassi. La conservò fino al ritorno a casa. Soltanto allora, nel 1558, dipinse la veduta dello Stretto di Messina. Nel ricordo di quel sole accecante, intitolò La caduta di Icaro il dipinto oggi conservato al Musées Royaux des Beaux-Arts di Bruxelles.

Labirinto. Quando Franco Maria Ricci comunicò a Jorge Luis Borges la sua intenzione di costruire il labirinto più grande del mondo, si sentì rispondere: “C’è già. È il deserto”.

Locri. Picasso andò in incognito a Locri, vide i piedi della Persefone e li copiò nelle Due donne che corrono sulla spiaggia.

Marinaio. La questione se il cosiddetto “ignoto marinaio” di Antonello da Messina fosse davvero un marinaio. Risposta: no, perché nessun marinaio si sarebbe potuto permettere un ritratto di Antonello, pittore costosissimo.

Montalbano. L’ufficio del commissario Montalbano che si vede in tv è stato ricavato in una stanza del municipio di Ragusa.

Nerone. Nerone si profumava le piante dei piedi e voleva che fossero profumati anche gli animali destinati al sacrificio. Solone invece aveva proibito il profumo ad Atene. E anche gli spartani, se sorprendevano qualcuno a vendere profumi, lo cacciavano dalla città.

Olimpiadi. Le antiche Olimpiadi, vietate alle donne che non potevano neanche assistervi.

Palermo. Palermo nel 1185, piena di moschee e di donne che parlavano arabo (testimonianza del mercante Ibn Jubayr).

Pompei. “Gli uomini vangano la terra e nugoli di ragazze accorrono senza sosta, coi loro panieri in mano. Sono solerti campagnole prelevate dai villaggi vicini, la maggior parte operaie di fabbriche chiuse o sospese per l’invasione dei tessuti inglesi e per il rincaro del cotone. Mai si sarebbe potuto credere che il libero scambio e la guerra d’America avrebbero fornito operai a Pompei” (Francois Wilbrod Chabrol, circa 1867).

Quercia. La quercia vallonea di Tricase, nel Salento, nel 2019 è stata incoronata come l’albero più bello d’Italia dalla Giant Trees Foundation, associazione friulana che si occupa della salvaguardia delle piante giganti nel mondo. Indetto un concorso sul web, la vallonea (nome scientifico Quercus ithaburerensis: 20 metri d’altezza, 4,5 metri la circonferenza del tronco, 700 metri quadrati la superficie di terreno coperto dalla chioma foltissima) ha raccolto più di 350 mila voti.

Riace. I due di Riace sono sì in bronzo, ma hanno i capezzoli rosa in rame, le labbra in oro rosso, i denti d’argento, gli occhi d’avorio.

Saline. Il nonno del pittore Peppino De Nittis originario di Barletta trapiantato a Parigi (“benché pugliese e straniero, nessuno meglio di lui ha saputo, con maggiore verità e arguzia, dipingere una parigina”, scrisse l’inflessibile Lefort) era l’architetto delle saline di Barletta (oggi di Margherita di Savoia, in gran parte nel territorio comunale di Trinitapoli, Ndr). Giuseppe andava a giocare con i figli dei salinari, che abitavano nelle pagliare, le casupole con il tetto di paglia che, a volte, in piena notte, prendevano fuoco. Svuotava di nascosto, con i fratelli, i vasi di creta pieni di marmellata di amarene, che la nonna teneva in dispensa per fare la pizza dolce. E per tutta la vita avrebbe ricordato il profumo di menta selvatica e di fiori d’arancio che il vento portava dai campi.

Telero. Numero di esseri umani dipinti da Carlo Levi nel grande telero conservato nel Palazzo Lanfranchi di Matera: 180. Misure del telero: 18 metri per 3. Tra le figure rappresentate: l’uomo che andava di paese in paese seguito da un branco di lupi feroci, l’uomo che al solo apparire faceva nevicare, ecc. Carlo Levi, sulle ragioni per cui chiedeva ai contadini un parere sui suoi quadri: “Avevo sempre visto che, poiché non hanno i pregiudizi della mezza cultura, i contadini sono, in generale, capaci di vedere la pittura”.

Uovo. A Ragusa il mistero dell’uovo di struzzo dipinto nella chiesa di San Giovanni Evangelista ai piedi del Cristo in gonnella.

Verne. Tracce del bisso marino (un filamento dorato simile alla seta che la conchiglia Pinna nobilis secerne per ancorarsi ai fondali sabbiosi del Mediterraneo) sono sconfinate persino nei racconti di fantascienza, come Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne: nel Regno del Corallo il capitano Nemo fa seppellire, avvolto nel bisso, il cadavere di uno dei suoi compagni.

Zeri. Federico Zeri riconobbe nel volto del “marinaio ignoto” di Antonello da Messina il ghigno caratteristico dei guerrieri greci raffigurati nelle sculture arcaiche rinvenute a Egina. Ghigno che qui diventa minatorio e condensa l’ambigua essenza della sicilianità, “dell’isola fascinosa e terribile”.

* Notizie tratte da: Storie meridiane, Marsilio, pagine 351, euro 29.