Glasgow: chi ha voglia di una città multiculturale venga nel crocevia della Scozia

 

Michela Petrella sull’Isola di Arran, nel sud della Scozia

Ormai sono quattro i mesi trascorsi in Italia dopo la mia esperienza di nove mesi in Erasmus a Glasgow. Partita a settembre del 2011 non ero spinta dalla felicità di raggiungere il luogo dei sogni (le mie prime scelte Erasmus erano Londra e Cardiff), ma alla fine quello che ho trovato nel paese conosciuto principalmente per gli uomini in gonnella, le cornamuse e il “mostro di Lochness” Nessie è stato decisamente qualcosa di migliore e inaspettato. E’ vero, affermare di aver vissuto in Scozia implica da parte di chi hai di fronte commenti come: “Chissà che freddo, piove sempre, ci sono più pecore che abitanti”. E’ vero, la Scozia non sarà il paese del sole e del caldo, ma i suoi abitanti sono decisamente “pochi, ma buoni”. Chiamati amorevolmente “Scoziani”, all’inizio erano per me degli extraterrestri per la lingua e le abitudini, ma alla fine si sono rivelati invece tolleranti, amichevoli, onesti, organizzati e competenti. I “pochi” da cui prendere decisamente esempio.

Multiculturalità è la prima parola che mi viene in mente pensando a Glasgow: una sorprendente presenza di lavoratori e studenti stranieri integrati perfettamente nella città. E questo non vale solo per l’ambiente Erasmus, perché tanti sono i ragazzi stranieri (norvegesi, russi, lituani, persino italiani) che decidono di lavorare e frequentare le università scozzesi, perché esse non solo sono sorprendentemente di alto livello qualitativo, ma anche perché sono gratis sia per gli studenti scozzesi, sia per quelli europei. La facoltà di Business della Stratchlyde University di Glasgow è stata considerata migliore della nostra costosissima Bocconi ed è aperta a tutti a costo zero, a chiunque voglia apprendere e sviluppare le proprie conoscenze.

Non mi dilungo a elencare i benefici e le agevolazioni per gli studenti, che solo per il fatto di essere tali, ricevono discounts e “free entrances” in discoteca, dal parrucchiere, al ristorante e la possibilità di studiare in biblioteche aperte fino alle due di notte; perché d’altronde basta andare fuori dall’Italia per scoprire che in Germania esistono numerosissime agevolazioni, in Olanda gli studenti possono viaggiare gratis, in Norvegia e Svezia gli universitari beneficiano addirittura di uno “stipendio”.

I prof. rispondono subito alle mail. Ma gli studenti scozzesi hanno vita facile anche per le opportunità e la fiducia riposta in loro. Un ufficio, il career-service, dedicato alla possibilità di stage, lavoro futuro e lavoro part-time per chiunque ne abbia bisogno (scozzese o no): uno studente italiano del primo anno di economia che ottiene uno stage a Shangai, una studentessa di legge francese che trova un lavoro in un call center per arrotondare; professori gentilissimi che rispondono alle mail di studenti disperati dopo pochi minuti. Quindi come secondo elemento è sicuramente da sottolineare e invidiare la fiducia riposta nei giovani, nell’ascoltarli e nell’offrire loro opportunità concrete.

Il portafoglio ritrovato. Ma soprattutto come terzo punto, ciò che più di tutto mi ha piacevolmente sorpreso è stata la tolleranza, l’onestà e l’educazione. L’onestà è stata in particolare da me appurata in prima persona. Nel primo mese passato in Erasmus mi è capitato di dimenticare il portafoglio in biblioteca. Una tragedia, erano le nove di sera e subito pensai di aver perso tutti i soldi e i documenti. Invece seppure con le peggiori aspettative, ritrovai il mio prezioso borsellino (dei ragazzi lo avevano riconsegnato al personale della biblioteca che mi aveva immediatamente avvisato per e-mail). Un piccolo episodio, magari isolato, che però fa pensare e domandarsi: “Che cosa sarebbe successo se fosse accaduto in Italia?”.

E ancora lo Scottish-Style: gonne cortissime, tacchi esorbitanti e capelli cotonati per le ragazze; stile trasgressivo, trasandato, anche un po’ “sospetto” per i ragazzi, che dopo una prima disorientante impressione, fa riflettere e ammirare la tolleranza di un popolo che non giudica solo dall’apparenza e dall’aspetto esteriore.

Cosa si può ricordare? Cosa si può imparare? Che ogni piccola cosa, ogni piccolo comportamento può essere uno spunto, un punto di partenza grazie al quale si può riflettere sul proprio atteggiamento e su quello dei propri connazionali. Perché un’esperienza di vita all’estero non solo fa cogliere come si possa imparare e trarre ispirazione dal sistema della nazione ospitante, ma anche dal modo di pensare e di essere, che dopo tutto ne sta alla base. Non pretendere di essere i migliori, non giudicare qualcuno solo perché è diverso, non cercare di “saltare la fila” per raggiungere solo il proprio fine, ma aprirsi, interessarsi e confrontarsi con il diverso, meravigliandosi per quanto sia meraviglioso.

Un’esperienza quella dell’Erasmus, che è stata come un primo anno di vita, nel quale davvero si realizza una possibilità di crescita concreta. In Italia, confrontandosi con le realtà straniere, troppe volte è usato il tempo condizionale: “dovremmo fare come la Germania, dovremmo imparare dagli inglesi, dovremmo seguire i modelli nordici”. Bene, dopo aver finalmente realizzato che bisogna cambiare, non è ora forse il caso di fare qualcosa di realmente concreto e abolire il vecchio caro condizionale?

Michela Petrella

Michela, 24 anni, è di San Zenone al Lambro (Milano). Laureata in lingue e letterature straniere presso l’Università degli studi di Milano. Sta per finire il biennio di laurea magistrale in lingue e letterature europee ed extraeuropee sempre presso l’Università degli Studi di Milano. Il periodo che ha trascorso a Glasgow è stato dal 20 settembre 2011 al 4 luglio 2012.