Addio a Eleonora Barbieri Masini, la sociologa che mi fece innamorare degli studi sul futuro

Se n’è andata in silenzio, tanto che non se ne sono accorti i più pignoli giornali: Eleonora Barbieri Masini, sociologa tra le fondatrici della moderna futurologia, si è congedata dal mondo a 93 anni nella sua casa romana di via Bertoloni 23, dove m’era capitato in passato di incontrarla più volte ricavandone energia studiosa e ammirazione per gli studi sul futuro.

Parlare di Eleonora Barbieri Masini equivale a parlare della singolare vicenda di una passione intellettuale, di una domanda di ricerca che si è tradotta in instancabile azione; di una vita dedicata alla costruzione di una disciplina. Magda Cordell McHale la definì “la madre dei futures studies”, attribuendo alla sua energia e al suo entusiasmo buona parte del merito dell’esistenza della World Futures Studies Federation, l’organizzazione internazionale no-profit che riunisce i protagonisti di studi del futuro a livello mondiale (più info: wfsf.org).

Una vita intercontinentale

Eleonora, di madre scozzese, è nata in Guatemala (Los Amates, 19 novembre 1928), paese nel quale suo padre Vincenzo Barbieri (calabrese di Bonifati, sull’alta costa tirrenica in provincia di Cosenza), ingegnere idraulico che non voleva aderire al fascismo, aveva preferito trasferirsi con la famiglia, accettando l’incarico di un progetto di bonifica per la Rockfeller Foundation; lì si era occupato di depurazione delle acque, pianificazioni di ospedali e campagne antimalariche.

La famiglia tornò in Italia nel 1933; la fine della Seconda guerra mondiale e il periodo della Ricostruzione precedente il boom economico sono gli anni in cui si compie la formazione culturale della giovane Eleonora, che si laurea in diritto costituzionale, specializzandosi poi in diritto comparato e, successivamente, in sociologia. Intorno alla fine degli anni Sessanta Eleonora è all’Irades (Istituto Ricerche Applicate Documentazione e Studi), istituto cattolico fondato da don Pietro Pace (che ne è il segretario generale) e il cui presidente è Flaminio Piccoli, esponente della Democrazia Cristiana. Il compito che le viene affidato da don Pace è quello di impostare nell’Istituto (che fino ad allora si era occupato esclusivamente dei temi della pastorale in Italia sotto un profilo sociologico) un centro di studi di previsione, il primo nel suo genere in Italia. Un’occasione ulteriore per comprendere cosa si stia facendo nel mondo riguardo i futuri le viene offerta dall’invito di Hidetoshi Kato a partecipare, nell’ottobre del 1970, al Meeting di Kyoto “Challenges from the Future”, in cui si riunisce per la seconda volta quella che di lì a poco, nel 1973, sarebbe divenuta la World Futures Studies Federation.

Al suo ritorno avvia all’Irades un importante lavoro di documentazione, creando una biblioteca alla quale aggiunge libri e testi che le venivano inviati costantemente da tutto il mondo, «nella convinzione che una tale fonte di informazione sarebbe stata assai utile per i giovani che volessero occuparsi di questi studi», e avviò una serie di corsi con docenti quali Hugues De Jouvenel, figlio di Bertrand e più tardi direttore dell’organizzazione Futuribles a Parigi; Jacques Delors; John McHale; Yehezkel Dror. Tra le iniziative dell’Irades, in questo irripetibile periodo di effervescenza culturale e creatività, va ricordato anche il convegno, tenuto in parte a Roma in parte a Frascati, “Bisogni umani, nuove società, tecnologie di supporto”, che si tenne nel settembre del 1973 e riunì tutta la comunità mondiale degli studiosi; per la prima volta, anche quelli di Paesi in via di sviluppo, come Romesh Thapar dall’India e Madhi Elmandjra dal Marocco.

Tra le personalità che supportarono con la loro esperienza l’Irades, vanno senz’altro ricordati anche Aurelio Peccei e Bruno de Finetti. A sua volta, Eleonora collaborerà ai convegni CIME promossi da de Finetti negli anni Settanta e collaborerà con Peccei, sicuramente tra le personalità che più profondamente segnarono il suo percorso intellettuale. Il loro primo incontro era avvenuto a Stoccolma, nel 1971, in occasione di un meeting del Consiglio Europeo per la Cultura (nel quale sono gli unici due italiani presenti); Peccei la inviterà a far parte del Club di Roma già dal 1975, anno in cui la studiosa viene anche eletta segretario generale della WFSF. Purtroppo, nello stesso anno iniziano i problemi dell’Irades, che fu chiuso – dopo un periodo di problemi economici, ma in realtà per ragioni a tutt’oggi non chiarite e probabilmente di ordine politico – tra il 1975 e il 1976.

Misteriosa oltremodo la sorte subita dalla biblioteca dell’Istituto, scomparsa da un giorno all’altro, forse mandata al macero, nonostante vi fossero state persistenti richieste, sia dalla Luiss che dalla Pontificia Università Gregoriana, di rilevarla. Fino al 1980, anno in cui fu nominato il nuovo segretario generale, Eleonora Barbieri Masini riuscì a gestire la WFSF, pur con questa ulteriore difficoltà. Al tempo stesso, ebbe modo di continuare la sua attività didattica e di ricerca; su invito di padre Pietro Beltrao Calderon, uno degli ispiratori della riflessione filosofica alla base dei futures studies, iniziò dal 1976 l’attività presso la Pontificia Università Gregoriana, presso la facoltà di Scienze Sociali. Al corso di previsione umana e sociale si aggiunse successivamente, nel 1991, quello di ecologia umana.

Considerando il suo contributo a livello internazionale, l’attività in organizzazioni come l’Università delle Nazioni Unite, l’Unesco, l’International Sociological Association, il Club di Roma, il WWF, la World Academy of Arts and Sciences, la stessa WFSF (di cui è stata, dopo la presidenza, chairperson dal 1990 al 1993), di certo non sono mancati i riconoscimenti al suo impegno non comune.

Nella sua lunga esperienza, la Barbieri Masini non si è di fatto limitata alla riflessione teorica, ma ha pure applicato le sue conoscenze nella pratica della ricerca. Tra i progetti più importanti da lei coordinati vanno ricordati “Household, Gender and Age” che diresse dal 1981 al 1991 nel contesto di un programma dell’Università delle Nazioni Unite, e il successivo programma Unesco “WIN (Women’s International Network), Emergency and Solidarity”, condotto dal 1995 al 2005, a confermare il suo impegno nel ribadire la centralità del ruolo della donna nel cambiamento sociale, in particolare nei Paesi in via di sviluppo. Progetti che, nel loro altissimo livello, rendono appieno la densità del lavoro sul campo nei futures studies “in azione”. (Un approfondito esame del valore delle ricerche di Eleonora è quello firmato dalla sociologa Carolina Facioni, “Per una sociologia dei futuri: il contributo di Eleonora Barbieri Masini alla fondazione dei futures studies”, nella rivista Futuri, VI, n. 11, Napoli, Italian Institute for the Future, aprile 2019, pp. 65-86).

Proprio nel 1995 tornai a incontrarla nello studio di Previsione sociale all’Università Gregoriana di Roma per un’inchiesta svolta per l’Europeo (n. 1/2 del 4 gennaio 1995) riguardante gli scenari possibili del terzo millennio. La ascoltai per delineare la voce Donne. Questo il testo che raccolsi, che profuma ancora di attualità.


A PROPOSITO

Ed Eleonora mi pronosticò: saranno le donne a spegnere i conflitti futuri

testo di Eleonora Barbieri Masini raccolto da Salvatore Giannella

Molto si dice e si è detto del futuro e delle donne: del loro ruolo, dei loro diritti, del loro conquistarsi spazi e qualità della vita, spazi o spezzoni di potere prevalentemente appartenenti agli uomini da secoli. John Naisbitt, scrittore americano di grande successo sui problemi del futuro, è il più convinto assertore della conquista delle donne, nel terzo millennio, di potere politico ed economico. Le donne, cioè, per Naisbitt sembrano voler invadere le aree decisionali e non solo i dibattiti come nel secolo Ventesimo.

La realtà è doverosa e diverse sono le possibilità. È finito il periodo delle rivendicazioni, della dell’asserzione dei diritti, non perché essi hanno ricevuto risposta dalla società e dalle istituzioni (questo richiederà decenni e forse generazioni) ma perché proprio le donne, e non solo loro, si rendono conto che è giunto il tempo del riconoscimento del contributo delle donne alla società che cambia. Si tratta di una rivoluzione di mentalità a 360 gradi prima di tutto delle donne stesse e poi forse da parte della società che non ne può più fare a meno.

John Naisbitt (1929-2021), autore e conferenziere nell’area degli studi sul futuro. Il suo primo libro di successo è stato Megatrends: le dieci nuove tendenze che trasformeranno la nostra vita, Sperling & Kupfer, 1982.

Le donne cioè iniziano, e più lo faranno, a essere consapevoli che non sono solo soggetti di diritti, riceventi della comprensione e del buon volere degli uomini e delle società gestite da uomini che ne riconoscono la loro presenza prevalentemente quantitativa (nella popolazione, nel lavoro, eccetera), ma soprattutto soggetti responsabili contributori della società e persino forse costruttori (costruttrici) di società alternative a quelle presenti.

Le donne hanno infatti delle capacità rimaste nascoste o forse distrutte nella società cosiddette avanzate, ma che possono essere riscoperte nelle società cosiddette in via di sviluppo dove esse sono ancora operanti. Queste capacità possono essere viste come più adatte a un mondo che cambia rapidamente e in cui i cambiamenti sono tra loro collegati e con ritmi diversi (i mutamenti tecnologici ed economici sono molto più rapidi di quelli, per esempio, culturali) che quindi richiedono capacità diverse da quelle che il futurologo Alvin Toffler chiama della specializzazione, della standardizzazione, della centralizzazione…

In un mondo in rapido mutamento le donne sanno e sapranno adattarsi assai meglio alla necessità di cambiare lavoro, posto di lavoro, abitazione, eccetera perché sono abituate a entrare e uscire dal mondo del lavoro per ragioni naturali e si adattano al cambiamento se questo è motivato da serie indicazioni per i propri figli.

Alvin Toffler (1928-2016), il sociologo statunitense che si autodefiniva futurologo. Tra i suoi libri più significativi ricordiamo Lo choc del futuro, Sperling & Kupfer, 1970.

Le donne sanno agire rapidamente in situazioni di pericolo: di guerra, di rivoluzione, di disastri naturali o di recessione economica. Quando sono in pericolo i loro cari, specialmente i loro figli, agiscono e spesso si coalizzano. In un mondo in cui la conflittualità appare in aumento questa capacità sarà molto importante se non addirittura essenziale. Basta pensare alle donne del movimento Chipko con la Vandana Shiva (filosofa della scienza e studiosa dell’agricoltura) che hanno fatto fronte alla distruzione ambientale del Nepal o alle donne che nell’isola di Minamata, in Giappone, si sono opposte con il silenzio e il rifiuto delle attività domestiche, fino a quando non sono stati presi provvedimenti da parte delle industrie chimiche del luogo per minimizzare i danni alla salute dei mariti e dei figli di quelle donne.

In un mondo in cui le attività non potranno essere scandite dai tempi come nella società industriale in cui tutti devono lavorare o riposare nelle stesse ore, e dove l’informazione e la comunicazione trasformano i tempi di lavoro e di riposo, le donne sembrano più preparate a rispettare i tempi razionalizzati dalla natura di quanto non ne siano né gli uomini né le società.

Questo per le capacità iniziali: se ci rivolgiamo alle capacità di tipo sociale, ci accorgiamo che è sempre esistita la capacità delle donne di creare solidarietà nel quotidiano, vale a dire nella informazione circa il cibo o il benessere dei figli e della famiglia nel suo complesso. Per esempio a Berlino tra le donne turche e quelle tedesche si crea lentamente un processo di solidarietà sulle piccole cose che migliorano la qualità della vita e che esulano dalle ideologie o dalle religioni. Si tratta del sorgere di invisibili legami di solidarietà su questioni di sopravvivenza quotidiane che trascendono i contrasti ideologici.

Ciò che sembra ora assumere importanza capitale per sopravvivere insieme da parte di diversi gruppi, sembra avvenire nel quotidiano gestito dalle donne. È questo il ruolo delle donne nel terzo millennio, ruolo che è sempre esistito ma ora diventa visibile perché è necessario. Non è la femminista la protagonista del terzo millennio ma la donna del quotidiano che sostituisce i creatori di conflitti. Ben venga.