
SEMPRE PIÙ PERSONE E LA MEGLIO GIOVENTÙ LASCIANO L’ITALIA. COME FERMARE LA LORO FUGA ALL’ESTERO
testo di Francesca Cambi* per Giannella Channel

Abstract & Beginning
A: MORE AND MORE PEOPLE AND THE BEST YOUTH THEY LEAVE ITALY. HOW TO STOP THEM ESCAPE ABROAD
B: “More and more people are leaving Italy to seek better living conditions abroad”, headlines Anteprima on Saturday 21 June 2025, the popular daily press of Italian newspapers directed by the volcanic Giorgio Dell’Arti. Istat data follows: in the two-year period 2023-2024, the expatriations of Italian citizens increased by 270 thousand, recording a percentage increase of 39.3% compared to the previous two-year period. But it is not the only record: the immigration of foreign citizens was 760 thousand, recording a +31.1% compared to the two-year period 2021-2022 and reaching values never seen in the last ten years. But, broadening our gaze to the segment of Italians that we care about most, that of young people, what scenario do the statistical data paint?
“Sempre più persone lasciano l’Italia per cercare migliori condizioni di vita all’estero”, titola sabato 21 giugno 2025 Anteprima, la popolare spremuta quotidiana di giornali italiani diretta dal vulcanico Giorgio Dell’Arti (link: https://www.giannellachannel.info/anteprima-giorgio-dellarti/). Seguono i dati Istat: nel biennio 2023-2024 gli espatri dei cittadini italiani sono stati 270 mila, facendo registrare una percentuale in aumento del 39,3 per cento rispetto al biennio precedente. Ma non è il solo record: le immigrazioni dei cittadini stranieri sono state 760 mila, facendo registrare un +31,1 per cento rispetto al biennio 2021-2022 e raggiungendo valori mai osservati negli ultimi dieci anni. (Greenreport).
Ma, allargando lo sguardo alla fascia degli italiani che più ci sta a cuore, quella dei giovani, quale scenario disegnano i dati statistici?
Le luci e le ombre. Presentato all’Università di Brescia il 10 giugno scorso, il Rapporto AlmaLaurea descrive un quadro occupazionale tra luci e ombre. Il dato positivo è la crescita occupazionale: nel 2024 il tasso di occupazione a un anno dal titolo è il migliore dell’ultimo decennio e si attesta al 78,6 per cento. Aumentano anche i contratti di lavoro a tempo indeterminato e la retribuzione mensile netta migliora di qualche punto percentuale rispetto al 2023 (6,9% per i laureati triennali e 3,1% per i magistrali) attestandosi intorno ai 1.490 euro netti al mese. Questi leggeri miglioramenti però non convincono i giovani laureati a restare in Italia: a un anno dal titolo lavora all’estero il 4,1% degli occupati e a distanza di 5 anni il 4,6%. A lasciare l’Italia sono soprattutto uomini e laureati più brillanti in termini di voti e di regolarità negli studi e formati in discipline tecnologiche e scientifiche. Soprattutto però chi lascia il Paese va via per guadagnare di più: oltre confine le retribuzioni medie percepite a un anno dalla laurea superano i 2.200 euro mensili netti (+54,2 per cento rispetto a quelle che percepisce il laureato in Italia), mentre a 5 anni sfiorano i 2.900 euro (+61,7 per cento rispetto a chi resta).
Un ultimo dato negativo è il mismatch, lo squilibrio, come scrive Il Sole 24 Ore, tra le imprese che non trovano i profili che cercano e i giovani che non trovano l’occupazione per cui hanno studiato.
In 10 anni “migrati” 97 mila laureati. La fuga all’estero (efficacemente illustrata in apertura, by terzomillennio@uil.it) è attestata anche dai dati del rapporto Istat presentato alla Camera dei deputati il 21 maggio per cui negli ultimi dieci anni sono andati all’estero 97 mila giovani laureati italiani di età compresa tra i 25 e i 34 anni. Nel solo 2023 oltre 21 mila giovani laureati hanno lasciato l’Italia con un aumento del 21,2% rispetto all’anno precedente. Nello stesso periodo sono rientrati in Italia 6 mila giovani laureati, dato in calo del 4% rispetto all’anno precedente, che rileva una perdita di 16 mila giovani risorse qualificate.
La nota stonata e positiva è rappresentata dal livello di istruzione: la quota di laureati tra i 25 e i 34 anni è salita dal 7,2 per cento al 30,6 per cento e al 37,1 per cento tra le donne. Stando a quanto riportato dal Sole, l’Istat nella sua analisi osserva che per comprendere le esigenze di una popolazione che chiede nuove opportunità è indispensabile adottare il punto di vista generazionale, analizzando i cambiamenti dei percorsi di vita.
Un interessante articolo della giornalista scientifica Claudia Di Giorgio (https://matematica.unibocconi.eu/articoli/una-generazione-perduta-la-fuga-dei-cervelli-dall%E2%80%99italia) può aiutare a comprendere meglio questo fenomeno, non più emergenziale ma strutturato e cronico, e per capire quali conseguenze esso provochi nel Paese che lo subisce. Secondo la definizione offerta dall’Enciclopedia Britannica la fuga dei cervelli (brain drain) è “l’abbandono di un paese a favore di un altro da parte di professionisti o persone con un alto livello di istruzione, generalmente in seguito all’offerta di condizioni migliori di paga o di vita”.
Dal 1997 però un rapporto dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, ha aggiunto a questa definizione tradizionale altri tre sostanziali nuovi elementi.
1) Il primo è quello di brain exchange (lo scambio di cervelli), il flusso di risorse intellettuali tra un Paese e l’altro, con uno spostamento equilibrato nei due sensi: tanti ricercatori escono e tanti ne entrano con un bilancio finale alla pari.
2) Poi c’è la circolazione dei cervelli, o brain circulation, termine che definisce un percorso di formazione e avviamento alla carriera, in cui ci si sposta all’estero per completare gli studi e perfezionarsi, e, alla fine, si torna in patria, dove si mettono a frutto le esperienze accumulate per occupare una posizione di maggiore vantaggio e responsabilità. La Di Giorgio evidenzia come questi due tipi di mobilità tornino a vantaggio di tutti.
3) Ultimo non per importanza è il fenomeno oggi spiacevolmente conosciuto del brain waste, lo spreco di cervelli. In questo caso, l’emigrazione non è fisica ma occupazionale: è la perdita delle competenze e vantaggi derivata dallo spostamento di personale altamente qualificato verso impieghi che non richiedono l’applicazione delle cognizioni per cui sono stati formati. Secondo la Di Giorgio si può quindi correttamente parlare di fuga di cervelli solo nel caso in cui il flusso netto di capitale umano altamente qualificato è fortemente sbilanciato in una sola direzione e lo scambio non è più scambio, ma drenaggio, poiché rappresenta una perdita di risorse umane per il Paese di origine. Questo fenomeno è ciò che sta accadendo in Italia e che spiega i 97 mila giovani laureati scappati all’estero.
Nessuno scambio, ma fuga. Il problema da anni resta uguale a sé stesso: non c’è nessuno scambio, ma solo una fuga. Tra le perdite principali del Paese non ci sono solo le persone e il denaro speso per formarle, la potenziale crescita demografica che queste generazioni potrebbero portare in Italia, ma ci sono anche le innovazioni prodotte all’estero dai cervelli in fuga che saranno proprietà dei Paesi in cui sono state realizzate. La fuga dei cervelli è la misura di quanto un Paese stia smarrendo sia la visione del proprio futuro sia la capacità stessa di pensarlo e progettarlo.
Tre mosse vincenti. Tornando ai dati del Rapporto AlmaLaurea e dell’Istat e alla luce delle precedenti riflessioni, il 22 maggio Il Sole 24 Ore ha pubblicato un’interessante e lucida analisi fatta da Max Bergami, docente alla Bologna Business School. Secondo Bergami per raddrizzare la nave è indispensabile mettere l’attrattività dell’Italia in cima all’agenda per attrarre nuovi talenti internazionali e far tornare i giovani italiani dall’estero: “L’obiettivo non è evitare che i giovani partano, quanto creare le condizioni perché ritornino”. Analizzando il problema Bergami propone tre cose da fare sfidanti e semplici:
- aumentare i salari reali dei giovani che lavorano in Italia,
- affrontare il problema della casa che in Italia pesa sullo stipendio dei giovani molto più che all’estero a parità di professione e
- favorire la nascita di nuove imprese.
“Serve nuova ondata di imprenditorialità che può portare la crescita e l’entusiasmo necessari a incrementare l’attrattività dell’Italia”, scrive Bergami. Gli stessi problemi individuati da lui sono stati al centro dello studio FSI-LIUC riportato sempre sul Sole il 5 giugno. Da questo rapporto emergono alcuni dati sullo stato dei giovani italiani laureati. Come certificato anche dal rapporto AlmaLaurea chi ha un impiego in Italia ha un reddito distante da quello del resto dell’Europa: in Italia il reddito annuo netto è di 18 mila euro contro i quasi 30 mila di un laureato tedesco. Riguardo al problema della casa: un giovane tra i 15 e i 34 anni per affittare un appartamento a Milano spende il 90 per cento di quanto incassa, a Venezia il 77 per cento, a Roma il 75: ecco spiegato il perché un giovane non riesca ad avere una maturità economica prima dei 30 anni, a differenza invece di quanto accade a 25 anni in Danimarca, Paesi Bassi e Germania.
L’emigrazione è un fenomeno che vale una perdita in termini di gettito fiscale (l’insieme delle entrate nell’erario dello Stato) di 37,1 miliardi l’anno nel 2023 (secondo dati Aire, Anagrafe italiana residenti all’estero). In relazione all’investimento in formazione bruciato nel 2023 si calcolano 3 miliardi spesi per sostenere un ciclo di istruzione di giovani laureati italiani perso a seguito del loro trasferimento all’estero, mentre a beneficiarne sono Svizzera, Germania, Spagna, Francia, Regno Unito. Tutto questo in un panorama con bassa propensione all’imprenditorialità.
Per far fronte al problema e cercare di offrire una possibile soluzione all’emigrazione dei giovani, la LIUC, l’Università privata delle Imprese intitolata a Carlo Cattaneo, ha messo a punto YES, Youth Enhancement Score, un indicatore per istituzioni e politica capace di migliorare l’attrattività del Paese mostrando quanto ogni territorio possa fornire in termini di opportunità lavorative, di reddito rispetto al costo della vita, di attrattività imprenditoriale e di qualità della vita dei giovani che abitano quel territorio. Sempre stando ai dati forniti dal quotidiano di Confindustria da una prima rilevazione oggi l’Italia incassa uno YES di 81 contro il 114 del Belgio e il 93 della Germania.
La stagione dei sogni. Conclude Bergami: “Per ricostruire l’attrattività del Paese è necessario scrivere, col contributo di tutti, una nuova grande storia che consenta di sognare”. Parafrasando l’autorevole docente, per attrarre le giovani menti ben fatte servirebbe dar vita a una nuova fase REM, lo stato del ‘sonno paradosso’, quello più profondo e favorevole ai sogni di tutti noi, ma prima di tutto dei giovani. []
I NUMERI SUL TAVOLO
◉ 270 mila gli espatri dei cittadini italiani nel biennio 2’23-2024, il 39,3 per cento in più rispetto al biennio precedente
◉ 760 mila le immigrazioni dei cittadini stranieri, facendo registrare un + 31,1 per cento in più rispetto al bienni 2021-2022
◉ 97.000 giovani laureati in fuga dall’Italia negli ultimi 10 anni
◉ 18.000 euro il reddito netto annuo di un laureato italiano contro i 30 mila di un laureato tedesco
◉ Per affittare un appartamento a Milano un giovane tra 15 e 34 anni spende il 90 per cento di quanto incassa.