SANT’ANNA DI STAZZEMA E QUEL GIORNO LUNGO UNA VITA.
STORIA DI ROMANO CAGNONI, FOTOGRAFO,
SCAMPATO PER POCHE ORE
ALLA STRAGE NAZIFASCISTA
introduzione di Salvatore Giannella - testo di Romano Cagnoni per Giannella Channel/ REPRINT
Lunedì 12 agosto 2024 è stato rievocato l’80mo anniversario della strage nazifascista a Sant’Anna di Stazzema e nelle altre località dell’Alta Versilia tocana, teatro di brutali eccidi da parte di militari nazisti sostenuti da fascisti locali contro civili e partigiani. Quel 12 agosto 1944 a Sant’Anna di Stazzema furono uccise 540 persone, 130 fra loro erano bambini e neonati.
Una serie di manifestazioni si sono susseguite al fine di mantenere viva la memoria “di uno degli eccidi più spietati della Seconda guerra mondiale: qui, dove l’Europa toccò il fondo dell’abisso, la Repubblica italiana può riconoscere le sue radici grazie all’esempio dei sopravvissuti”, (parole del capo dello Stato Sergio Mattarella). Quest’anno sono state raccolte 200 fotografie con i volti delle vittime; entrano a far parte della dotazione del Museo della Resistenza e del Parco della Pace”,
A me quella strage e le fotografie hanno riportato alla mente la figura di un grande fotoreporter italiano, originario di quelle parti della Toscana dalla vivace attività artistica: Romano Cagnoni (Pietrasanta 1935 – 2018; ritratto nel suo studio nella foto d’apertura, da Wikipedia).
Un professionista e amico che ritrovai nel 2015 in occasione della presentazione a Palazzo Reale, da parte del Centro Studi Grande Milano, del romanzo di Flavio Caroli “Voyeur” (Mondadori), un libro appassionante che porta a riflettere sul potere delle immagini e che il famoso storico dell’arte volle dedicare proprio a lui, Cagnoni.
Romano era tornato a vivere nella sua nativa Versilia dopo trent’anni passati a Londra, città dalla quale partiva per documentare conflitti internazionali per le più importanti riviste del mondo. Era stato un antico collaboratore dell’Airone da me diretto (straordinario il suo reportage “Questi sono gli uomini marmo di Carrara”, dicembre 1987).
Di Romano sapevo un particolare biografico agghiacciante: durante la seconda guerra mondiale ad appena 8 anni fu un rifugiato a Sant’Anna di Stazzema. Solo un giorno prima dell’efferato eccidio nazifascista, Romano si trasferì in un altro paese, evitando per poco l’attacco. In quel 2015 Romano accettò di ricordare per Giannella Channel quel giorno particolare nella sua vita: The day before. Ecco il suo racconto, arricchito da un album eloquente della sua attività conclusasi con la sua scomparsa, avvenuta nella nativa Pietrasanta il 30 gennaio del 2018 ( il suo ricordo viene rinnovato dalla Fondazione che porta il suo nome, presieduta da Patricia Franceschetti Cagnoni e che indice un premio internazionale di fotografia, dedicato quest’anno 2024 al tema RADICI: www.fondazioneromanocagnoni.com. mobile: 348.8747971. (s. gian.)
Romano Cagnoni (Pietrasanta, Lucca, 9 novembre 1935 - 30 gennaio 2018). Ha dedicato la sua vita al fotoreportage. Harald Evans, uno dei direttori del “Sunday Times”, nel suo libro “Pictures on a page”, cita Romano Cagnoni come “uno dei fotografi più famosi al mondo”. Per una biografia completa: https://it.wikipedia.org/wiki/Romano_Cagnoni
THE DAY BEFORE
Il giorno prima, a Sant’Anna di Stazzema
Le ristrettezze erano tante, per la mia famiglia composta da sei persone rifugiate da Pietrasanta nel vicino paese di Valdicastello. Fra le meno gravi c’era la necessità di condividere una stanzetta di circa 12 metri per 2, però l’altezza del locale era ottimale, ci permetteva di avere il letto legato con delle funi al soffitto e avere lo spazio per accomodarci a un tavolo su cui mangiare. La dieta era polenta tutti i giorni, però mia madre, nella sua creatività ne variava la cottura e ci sorprendeva con polenta fritta, polenta arrosto, polenta alla bracia; talvolta polenta di castagne e quando si aveva la fortuna di trovare un pò di latte con cui annaffiarla era un lauto pranzo o cena che fosse. Mi piacerebbe assaggiarne un pò anche oggi, anno 2015, che scrivo questi ricordi.
La stanzetta, in un caseggiato con di fronte la veduta di una base militare tedesca, ci permetteva di vedere la ferraglia degli armamenti, l’arroganza dei suoi possessori, il maledetto profumo di buon cibo e un militare che veniva spesso ad amoreggiare con una vicina di casa.
I bombardamenti degli alleati anglo-americani si facevano più insistenti. Fummo quindi costretti a sfollare di nuovo più in alto sui monti. Trovammo un metato nel paese di Sant’Anna di Stazzema. Il metato, un casotto di pietra adibito normalmente ad ambiente per conservare il raccolto delle castagne, era molto piccolo, non si poteva starci tutti; quando pioveva, si infilavano dentro tutti e io finivo appiccicato a mia madre, particolare che, nel caldo estivo, non era certamente di suo gradimento, però io ne ero felice.
Mia madre e mia sorella, con altre donne sfollate, rischiavano il cammino di circa due ore per raggiungere Pietrasanta alla ricerca di cibo. Il rischio più alto fu quando, per raccogliere della frutta, salirono su un albero di fico mentre tutt’intorno esplodevano obici sparati dalle navi degli alleati. Anche mia nonna fu “miracolata” in un’altra occasione: un obice sparato dai nostri “liberatori” le esplose talmente vicino che la terra dell’esplosione le entrò negli occhi senza che nemmeno una scheggia la colpisse.
La piazzetta erbosa della chiesa di Sant’Anna era frequentata dai partigiani, anche loro alla ricerca di cibo, forse di informazioni o magari nella speranza di incontrare qualche conoscente e scambiare due parole. Essi si divertivano con noi bambini mostrandoci il funzionamento dei loro Sten, piccoli fucili automatici lunghi quanto un braccio di noi bambini che, incoraggiati, provavamo a impugnarli.
Un combattimento dei nostri amici grandi contro i tedeschi avvenne sul monte Ornato proprio quei giorni. In seguito Sant’Anna fu investita dall’ordine di sfollamento dal comando tedesco, revocato poi dal comando il quale annunciava che Sant’Anna era adesso qualificata come “zona bianca”, ossia località adatta ad accogliere sfollati.
Mio padre e mio fratello decisero di riunire le poche cose che potevamo trasportare lungo la mulattiera e tornare a Valdicastello. Arrivammo in tarda sera e fu deciso di stabilirci per la notte in una capanna abbandonata: abbandonata dagli umani, ma non dalle pulci che tormentarono fino alle lacrime mia sorella, mentre io riuscivo a individuare, illuminata dalla luna, la casa nativa di Giosuè Carducci, poeta del quale la maestra a scuola ci aveva letto delle poesie.
Il letto appeso al soffitto nella stanza dove ritornammo e i vicini che ci abbracciarono piangendo, fu li per lì un ritorno accogliente, quando si capì che le lacrime versate erano per la terribile notizia che quella notte le forze della SS naziste avevano massacrato tutta la popolazione di Sant’Anna. Nel cortile del caseggiato, più tardi, un collaboratore italiano dei nazisti raccontava (e se ne vantava) che aveva accompagnato i nazisti lungo la mulattiera fino al paese di Sant’Anna; sempre nel cortile lo stesso giorno, una signora sopravvissuta al massacro raccontava di come si era salvata: coperta dalla massa delle vittime dentro la chiesa, era riuscita a uscirne incolume.
Con l’ottimismo dei “miracolati” ho fotografato molte guerre, nel Vietnam del Nord sono stato di nuovo sotto i bombardamenti americani. Non molto tempo fa in Cecenia ero con mia moglie Patti quando un missile lanciato da aerei russi si è piantato al suolo a circa 30 metri senza esplodere. È stato un miracolo? O più probabilmente l’incapacità tecnica dei costruttori. [](Romano Cagnoni)
Album: con la guerra negli occhi
immagini di Romano Cagnoni per Giannella Channel
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