Si sono incontrati una sera di ottobre a Milano. C’erano infermieri, psicologi, medici. E poeti. Erano lì per contarsi e partire per un’avventura che li coinvolgerà e che probabilmente non li lascerà più come prima. Sono quelli che hanno risposto all’appello per diventare «Poeti FuoriStrada», portatori di poesia in territori del disagio come i reparti di oncologia pediatrica e le case per anziani.

Il poeta nicaraguense Ernesto Cardenal

Il poeta nicaraguense Ernesto Cardenal (Granada, 1925).

Il progetto

A chiamarli a raccolta è stato Giuseppe Masera, oggi in pensione ma per tanti anni direttore della Clinica pediatrica Università Milano Bicocca San Gerardo di Monza. Si è messo in testa, assieme ad altri visionari del bene come lui – Comitato Maria Letizia Verga e Fondazione Tettamanti – di replicare anche in Italia l’esperienza dei «Talleres de Poesía» di Ernesto Cardenal. Il sacerdote-poeta nicaraguense negli anni Ottanta era diventato ministro della cultura del nuovo governo sandinista e aveva avviato un programma di lotta all’analfabetismo e realizzato laboratori di poesia aperti a tutti i cittadini (militari, pescatori, contadini). L’esperimento funziona e anni dopo, nel 2004, sarà proprio il medico italiano a chiedere a Cardenal di portare i suoi «Talleres» fra i bambini malati di cancro dell’ospedale La Mascota di Managua (con cui il San Gerardo di Monza aveva istituito un gemellaggio). Nel 2009 prenderà avvio un’esperienza analoga anche al San Gerardo, da cui è nata la raccolta di poesie pubblicata da Rizzoli «I sogni son come conchiglie».

Il metodo

Quello presentato l’altra sera, però, è un progetto più ampio che partirà a Monza e Milano e arriverà anche a Genova, Bologna, Roma, Matera, Catanzaro e altre città. «Il nostro metodo di lavoro sarà preso in prestito dai Talleres di Cardenal», si legge nel Manifesto dei Poeti FuoriStrada, «per lui in ciascun essere umano esiste un poeta potenziale in grado di esprimersi senza necessariamente seguire i canoni della poesia tradizionale ma servendosi del verso Libero. Una poesia obiettiva, narrativa e aneddotica, fatta con gli elementi del mondo reale e con cose concrete».

«Todo es poesìa», scriveva uno dei bambini di Cardenal, malato di cancro a 7 anni; è poesia anche se in un verso ci finisce la parola «vomito» e in un altro «diarrea», perché è la vita, nella fase meno bella e forse anche ultima, ma che grazie alla poesia diventa più umana e sopportabile.

Giuseppe-Masera

Giuseppe Masera, 76 anni, per 25 anni direttore della clinica pediatrica del san Gerardo di Monza, tra i principali specialisti nel campo dell’ematologia infantile.

L’obiettivo

Quantificare tutto questo non è facile ma c’è anche un aspetto di sperimentazione-ricerca nel progetto che vede la partecipazione di poeti e clinici, ricercatori. «È lecito aspettarsi un valore terapeutico dallo scrivere in poesia», spiega Giuseppe Masera, «è importante dimostrare che funzioni, registrare il quid di benessere che nei pazienti deriva dal riflettere, dall’esprimersi e dall’essere ascoltati».

La scienza

Sul valore del progetto non ha dubbi Marcello Cesa Bianchi, luminare della Psicologia italiana e membro del comitato scientifico di Poeti FuoriStrada. «La medicina e la psicologia hanno messo in evidenza aspetti positivi delle terapie che utilizzano strumenti di tipo artistico – musica, disegno, danza – che possono favorire la resilienza (la crescita positiva dopo il trauma della malattia, ndr)», spiega il professore, interessato alla estensione del progetto al mondo degli anziani. «Mi occupo di psicologia legata ai processi di invecchiamento e la possibilità di trovare espressioni creative e poetiche in situazioni difficili sembra avere significato nel rallentare il decadimento progressivo». Il professore cita il concetto, che si sta affermando, di «ultima creatività». «La vita è fatta di tanti episodi ma l’ultimo può dare senso a quelli prima, far cogliere aspetti di sé che si erano ignorati», spiega, «così un progetto come questo sulla poesia può costituire un antidoto a quella “afasia dei sentimenti” che non è ancora valutata in termini tradizionali».

I «facilitatori»

Il ruolo più importante, quindi, lo avranno i poeti e quei «facilitatori di poesia» che aiuteranno persone in situazioni di fragilità a esprimersi attraverso il verso libero. «Chi scrive testi poetici e si trova in una situazione di vita che forse si interromperà da un momento all’altro non si pone in una prospettiva di poesia da hobby del weekend o di premio letterario», ragiona Guido Oldani, poeta fondatore del Realismo Terminale e anch’egli membro del comitato scientifico, «si trova invece in un rapporto vis à vis, o muro contro muro, con la verità; qui non si bluffa, non c’è gioco letterario, è un momento di ricerca non inquinabile». E siccome è poeta, riassume poeticamente: «Questa prospettiva mi provoca il fascino di chi va a cercare funghi e sa che ne troverà di buoni».

L’impegno.

Quella serata di ottobre si è conclusa con tante persone che hanno scritto il loro nome impegnandosi a fare la loro parte nel progetto. C’era la poetessa Antonetta Carrabs che aveva già dato vita a un laboratorio a Monza nel 2009, c’era il poeta-editore Milton Fernandez, che lavorerà a Milano, c’era un professionista della comunicazione di Novara e uno dei «100mila poeti per il cambiamento» di Bologna, l’associazione che ha già portato la poesia fra i migranti sbarcati a Lampedusa. E c’era anche un chirurgo vascolare, uno di quelli che operano bambini con angiomi gravemente deturpanti – «mostri» qualcuno ancora li chiama – e vorrebbe che si portasse anche a loro la bellezza della poesia.

Per tutti, l’impegno della gratuità e della costanza, perché «ai bambini – ricorda Masera – si può dare buca solo con il certificato di morte!» La ricompensa sta nel privilegio di aver vissuto un’esperienza preziosa che Cardenal così riassume: «Io non aspetto il Giorno del Giudizio Finale con particolare ottimismo ma prevedo che una delle poche cose positive che mi verrà detta sarà: io ero un bambino malato di cancro e tu mi hai insegnato a far poesia».

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Sara Ricotta Voza è giornalista del quotidiano di Torino, su carta e online, La Stampa, diretto da Mario Calabresi. Twitter: @sara_voza

A PROPOSITO

Il manifesto dei Poeti fuori Strada

E cominciò la vita; cominciò la libertà

fino ad arrivare noi, il linguaggio della terra.

E chiamammo roccia la roccia e il pioppo pioppo.

Essendo noi la materia che si guarda.

Ma siamo un osservatore dell’universo per puro incidente

o l’intero universo è un’evoluzione verso un osservatore?

Ernesto Cardenal, Cantico cosmico

A – PREMESSA

Le radici di “Poeti fuori Strada” affondano nei primi anni ’80, in un paese lontano-lontano, e si collegano a un prete-poeta-rivoluzionario, Ernesto Cardenal, allora ministro della Cultura del Governo Sandinista del Nicaragua. Colpì la fantasia degli osservatori la creazione di Laboratori di Poesia in un paese da poco uscito da una feroce guerra civile. Per Cardenal, “in ciascun essere umano esiste un poeta potenziale” in grado di esprimersi senza necessariamente seguire i canoni della poesia tradizionale, ma servendosi del Verso Libero, cioè, un’immersione nel proprio mondo interiore attraverso le immagini di quello esteriore. Una poesia obiettiva, narrativa e aneddotica, fatta con gli elementi del mondo reale e con cose concrete. Infine, una poesia lontana dagli accademismi, “impura”.

Cardenal è stato l’iniziatore e continua a essere l’infaticabile promotore di questa corrente poetica, da lui definita “esteriorista“. Nel 2006, accolse l’invito di uno di noi di ricreare Laboratori di Poesia, questa volta con i bambini del Centro di Oncologia La Mascota, di Managua, e la magia della poesia si rinnovò in modo sorprendente.

Analoga esperienza è stata replicata da Antonetta Carrabs nell’anno 2009-2010 con i bambini del Centro Leucemie di Monza. Sulla scia della esperienza di Cardenal, “Poeti fuori Strada” si rivolge a quei poeti che accetteranno la sfida di uscire dalla strada della poesia tradizionale per incontrare, sulla strada della vita, persone in situazioni diverse di fragilità, che verranno facilitate a esprimersi attraverso il Verso libero, cioè una forma di poesia svincolata dai limiti imposti dalla rima o dalla metrica, dalla sintassi o dalla ortografia.

B – IL PROGETTO

Il nostro metodo di lavoro sarà preso in prestito dai Talleres de Poesìa di Ernesto Cardenal, e potrebbe riassumersi in poche (sue) parole: “Poesia è ciò che scriviamo come poesia. Poesia è ciò che viviamo come poesia. E’ un modo di agire, di stare al mondo, di convivere con gli altri e con quello che ci sta intorno.”

Sarà aperto a tutti ma, nella prima fase, porrà una speciale attenzione al lavoro con persone, o con gruppi di persone, in situazioni di “fragilità”. Ci riferiamo agli anziani, ai bambini- giovani adulti affetti da importanti patologie, ed ad altre situazioni di grave disagio.

Un ruolo fondamentale sarà svolto dai Poeti “facilitatori“, i quali, spogliati per un istante dalla loro veste di poeti, avranno il compito di valorizzare e fare emergere le capacità latenti di interpretazione del mondo esterno e dei sentimenti, delle emozioni profonde, per lo più inespresse.

Esiste poi un altro aspetto che vorremmo valorizzare-promuovere: la Poesia come strumento-mezzo per superare l’afasia dei sentimenti, delle emozioni. Ciascuno di noi, in particolare quando si trova in situazione di fragilità, ha spesso difficoltà a comunicare – perfino alle persone più vicine – i sentimenti più profondi, quali ad esempio paura, tristezza, delusione, rabbia, desiderio, speranza, rimorso, gratitudine, soddisfazione, richiesta di aiuto… Tutto ciò comporta ulteriore sofferenze.

Due esempi per dare una idea della importanza della parola scritta da ragazzi nella fase finale della loro vita. Mario, 14 anni, scrive in francese “Nascita“:

Toc toc

posso entrare?

Buongiorno!

Ma qui c’è la violenza

qui c’è la sofferenza

qui c’è l’ipocrisia.

Scusatemi, io cerco l’amore.

Ho sbagliato mondo.

Carmelo, 13 anni, alcuni giorni prima di lasciarci, consegna alla sua infermiera un biglietto con scritto: Speak about death.

La magia della poesia, o della parola scritta in modo libero e semplice, può avere un ruolo terapeutico tanto più rilevante quando la guarigione, o la risoluzione del problema, non è più possibile.

I promotori del progetto sono i componenti del COMITATO DIRETTIVO che ha il compito di promuovere e monitorare la realizzazione del progetto. Sarà istituito un COMITATO SCIENTIFICO nazionale e internazionale, composto da personalità della Cultura (in particolare, poeti, ma non esclusivamente) e della Scienza. Da ottobre 2014 prenderà avvio una fase sperimentale organizzata a Milano da Milton Fernàndez e a Monza da Antonetta Carrabs. Successivamente il programma potrà essere attuato in altre sedi su iniziativa di un coordinatore/responsabile locale riconosciuto dal Comitato direttivo. Ulteriori problemi organizzativi, ad es. modalità di valorizzazione del materiale ottenuto, verranno definiti e comunicati dopo l’avvio della fase pilota.

C – INVITO

I Poeti che condividono il Manifesto “Poeti fuori strada” sono invitati a comunicare al Comitato direttivo la propria adesione e una breve descrizione del proprio curriculum poetico e professionale. Il Comitato direttivo avrà il compito di riconoscere la qualifica di “Poeta Facilitatore” del Progetto “Poeti fuori strada“.

Si prevede un primo incontro a Milano e a Monza in autunno per concordare la metodologia dei Laboratori e precisare i termini dell’impegno previsto. In linea di massima si prevede la partecipazione ogni 1 o 2 settimane a incontri di circa 2 ore, con la presenza di due o più poeti facilitatori.

Informazioni più dettagliate verranno comunicate in occasione del primo incontro generale previsto in autunno.

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* Antonetta Carrabs (Gesualdo, Avellino, 1959) è poetessa, scrittrice e giornalista. Promotrice culturale di iniziative teatrali e di rassegne letterarie. Presidente e fondatrice di Zeroconfini Onlus, de La Casa della Poesia di Monza. Co-direttore-artistico della rassegna culturale Mirabello Cultura. Fondatrice e presidente del Centro di ricerca e Studi Durini. Fondatrice dei premi di poesia Isabella Morra, il mio mal superbo e di Aurelia Josz. Docente di Letteratura presso L’Università del tempo libero di Biassono. Direttore editoriale di “Beyond Bordes – Oltre i confini” Il giornale dei detenuti del carcere Sanquirico di Monza. La lunga lista delle sue pubblicazioni è a questo link. Chi avesse voglia di aprire un laboratorio di poesia “Ernesto Cardenal”, sulla scia dell’esperienza di Monza, può contattare la Carrabs alla mail: acarrabs@libero.it

Giannella Channel aderisce all’invito del Comitato scientifico (Carrabs, Fernàndez e Masera: di quest’ultimo nei prossimi giorni pubblicheremo la bella storia professionale nella lotta alla leucemia infantile) e mette a disposizione il suo spazio e una preziosa collaboratrice per seguirne gli sviluppi: Vanessa Mazzucchelli, della quale pubblichiamo qui di seguito la genesi della sua scrittura poetica e un primo commento al progetto. (s.g.)

Quando mi è stato proposto di collaborare a questo progetto ho pensato subito ad alcuni versi scritti lo scorso dicembre quando in preda allo sconforto facevo un bilancio dell’annus horribilis che stava per concludersi: “l’esercizio di scrittura / già diventa la mia cura/“. Queste rime riassumono il senso di questo progetto: l’esercizio poetico come momento liberatorio di un disagio interiore o di una sofferenza. Poco importa la forma poiché la poesia non ha confini: se alcuni trovano un rifugio nel rigore metrico riuscendo così a dare un ordine ai pensieri e un senso alla propria condizione, altri invece preferiscono lasciare scorrere a ruota libera ciò che hanno dentro non ponendo limiti alle loro emozioni e al loro immaginario. Quel che conta è che dopo aver scritto ci si sente più liberi e leggeri, più propensi a interagire con il mondo. Un mondo o una realtà che se non possono essere cambiati perlomeno si possono  guardare con occhi nuovi. Questo  è quello che mi è successo nel corso del 2013.

Due anni fa ho perso mio a padre, all’improvviso. Mia madre era già volata via qualche anno prima. Mi è crollato il mondo addosso e nonostante fossi sposata e avessi a famiglia mia ho avuto la netta sensazione di aver perduto un punto di riferimento fondamentale ma discreto nella mia esistenza di donna e di figlia e purtroppo me ne rendevo conto solo nell’istante in cui affrontavo la verità che non avrei mai più potuto contare su di lui. Questa consapevolezza ha scatenato un terremoto di emozioni nel mio inconscio che ho sentito il bisogno di definire, di metterle in ordine dentro di me ed ecco che come per magia sono iniziate le mie filastrocche. Ogni volta che avevo qualcosa dentro sentivo un’ansia che si placava solo con la scrittura e iniziavo a sentirmi meglio. La poesia mi ha aiutato a vivere meglio.

Ora scrivere è diventato un necessità soprattutto quando devo mettere a fuoco ciò che sento, quando la forte emotività non mi permette di capire a fondo quel che mi succede.

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Vanessa Mazzucchelli. Lavora da anni in una primaria casa editrice a Milano. Le sue giornate lavorative sono scandite dai viaggi in treno, da pendolare: “Con la nebbia e la foschia vado via da casa mia, / prendo un treno puzzolente / che procede lentamente / vi è seduta tanta gente / che diventa intransigente / se un ometto strafottente / il pedaggio poi pretende./ Arriviamo alla stazione / la foschia è ormai un nebbione / noi facciamo colazione / così cala la tensione” (Ode a Trenord).

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