Mi capita di presentare un libro a Pennabilli, nel Montefeltro tra Romagna e Marche, e di incontrare in questa occasione Sandro Bonardi, studioso della preistoria, che ebbe una frequentazione assidua con Padre David Maria Turoldo (Coderno, Friuli, 22 novembre 1916 – Milano, 6 febbraio 1992). Il sacerdote e poeta italiano, che con fra’ Camillo De Piaz partecipò alla Resistenza e fu uno dei più rappresentativi esponenti del rinnovamento del cattolicesimo della seconda metà del ‘900 ( il che gli valse il titolo di “coscienza inquieta della Chiesa”) fece la convalescenza nel 1988, dopo l’intervento chirurgico per un tumore al pancreas, a casa Bonardi a Moneglia, in Liguria. Dalle pagine del diario che Bonardi mi ha mandato sui giorni in cui Padre Turoldo seppe della malattia, io (che quando ero direttore di Airone ebbi quel saggio poeta tra i miei autorevoli collaboratori) ho tratto il brano delle ore in cui il religioso seppe della gravità del suo male.
Per approfondimenti:
I miei giorni con David, www.friulicrea.it

Quel 19 agosto del 1988 nel santuario di Pietralba (Bolzano) i frati, che ancora non sanno della malattia di Padre Turoldo, lo attorniano festosi. Vecchi della sua generazione, che prende in giro con tanto affetto; giovani, che gli fanno vedere le ultime novità. Il Priore, Fra’ Emilio Bedont, dice: “Dopo tante disgrazie arrivi anche tu ora!” (un mese prima, domenica 17 luglio, era stato a Pietralba il Papa, Giovanni Paolo II). David polemizza scherzosamente sulla visita del Papa.

Padre David Maria Turoldo sandro bonardi salvatore giannella

Padre David Maria Turoldo

In refettorio mi racconta orgoglioso e commosso che il rivestimento in legno era stato commissionato dai Servi di Santa Maria a uno dei dieci fratelli, il falegname Lino, negli anni Trenta, anche per toglierlo dalla miseria in cui tutta la famiglia Turoldo versava.

Dal telefono il dottor Armin Waldthaler, che poche ore prima nell’ospedale di Bolzano ha visitato e fatto un’ecografia a Padre David fino ad allora sofferente di “gastrite da stress”, mi conferma la macchia al pancreas e l’ipotesi di cancro.

Mi pongo immediatamente il problema di come e a chi comunicare la drammatica diagnosi. Prima di entrare in refettorio, verso le tre del pomeriggio (“L’ora nona” da lui poi descritta nella poesia) vado un attimo in chiesa a “consultarmi”.

Entro in refettorio e trovo David, solo, seduto davanti alla porta della cucina. Allora decido. Gli dico: “David, hai un cancro al pancreas”. Risponde sereno, ma con la consueta voce baritonale, e dando un pugno sul tavolo, liberatorio dopo mesi di tensione: “Osti, finalmente so cosa ho. Non potevo sopportare che mi dicessero che non avevo niente, come una giovane innamorata…”

Torniamo a sera a Bressanone dai Padri Cappuccini. All’indomani David sentiva il bisogno di stare in mezzo alla natura. Siamo andati con gli amici coniugi Valdemarin nei dintorni della città in una pineta. Mentre camminavamo, lui, con le mani dietro la schiena, ascoltava il crepitare dei passi e di tanto in tanto alzava lo sguardo in alto, stupito dalla essenzialità e verticalità dei tronchi. Diceva: “Sono così perché cercano la luce; tutto il creato naturalmente è proteso verso l’alto a cercare la luce”.

Un operaio che riparava un impianto elettrico lo riconobbe, si complimentò con lui delle battaglie politiche e a David faceva piacere, gratificato. Quella silenziosa camminata nella pineta, da lui immaginata come una chiesa inondata di incenso, gli ha ispirato quella poesia che alla sera ha scritto e che mi legge (prima versione, poi in parte riveduta):

Ti sento, Verbo, risonare dalle punte dei rami

dagli aghi dei pini, dall’assordante

silenzio della grande pineta

– cattedrale che più ami – appena

velata di nebbia come

da diffusa nube d’incenso il tempio.

 

Subito muore il rumore dei passi

come sordi rintocchi:

segni di vita o di morte?

 

Non è tutto un vivere e insieme

un morire? Ciò che più conta

non è questo, non è questo:

conta solo che siamo eterni

 

Non so come, non so dove, ma tutto

perdurerà: di vita in vita,

e ancora da morte a vita

come onde sulle balze

di un fiume senza fine.

 

Morte necessaria come la vita,

morte come interstizio

tra le vocali e le consonanti del Verbo,

morte, impulso a sempre nuove forme.

E ancora a riflessione di quanto drammaticamente gli avevo detto nel refettorio di Pietralba, ha cantato:

Ieri all’ora nona mi dissero:

il Drago è certo, insediato nel centro

del ventre come un re sul trono.

E calmo risposi: bene! Mettiamoci

in orbita: prendiamo finalmente

la giusta misura davanti alle cose;

con serenità facciamo l’elenco:

e l’elenco è veramente breve.

Appena udibile, nel silenzio,

il fruscio delle nostre passioncelle

del quotidiano, uguale

a un crepitare di foglie

sull’erba disseccata.

David era convinto che avrebbe resistito al cancro, che avrebbe continuato a narrare in versi questo complesso mondo:

Mai tanta vita e tanta morte come oggi

Mai tanta scienza e tanta ignoranza come oggi

Mai tanta ricchezza e tanta miseria come oggi

Mai tanta potenza e tanta debolezza come oggi

Mai tanta organizzazione e tanta solitudine come oggi

Mai tanti divertimenti e tanta disperazione

Certo, sarebbe andato ancora in ospedale. Ma i suoi ricoveri, invece che deprimerlo, ne accentuavano la creatività poetica. Alla fine della lunga degenza all’ospedale di Padova, medici e infermieri invitarono me che lo avevo accompagnato e assistito, a chiedergli alcune parole di ricordo dell’intenso periodo. Prese un foglietto e di getto scrisse queste parole:

Più che un ricordo per chi è malato, un richiamo per chi passa accanto al malato. A me hanno fatto sempre impressione questi 10 verbi della parabola del Samaritano: 1) Ebbe cura di lui; 2) Si mosse a pietà; 3) Scese da cavallo; 4) Si curvò su di lui; 5) Gli versò olio e vino; 6) Gli fasciò la ferita; 7) Lo caricò sul giumento; 8) Lo portò nel proprio albergo; 9) Pagò per lui; 10) Tornò indietro a pagare. Sono i 10 verbi dell’Amore. Ora capisco perché il Signore dice: ‘Questo è il compendio di tutta la Legge e dei profeti. Facciamo questo e vivremo’

Invece vinse il male, che ci rubò quel poeta-profeta il 6 febbraio 1992, sei mesi dopo aver invocato, davanti ai confratelli di Pietralba, un pertugio aperto sulla sua tomba:

Lasciami anche dalla tomba un pertugio,

che io possa ancora vedere

il sole che sorge

una nuvola d’oro

Espero che riluce la sera

In un limpido cielo.