Navigava sulle rotte dell’arte nel Mediterraneo, quell’Indiana Jones all’italiana che è Federico Fazzuoli, e così un giorno incontrò Khaled al-Asaad, l’archeologo siriano innocente di ogni colpa barbaramente trucidato dai boia dell’Isis il 18 agosto scorso: da anni in pensione, il martire di Palmira era rimasto saldamente ancorato alla sua città d’origine, patrimonio mondiale dell’umanità oggi semidistrutto, tanto da averla messa sul desktop del suo computer, in una foto al tramonto, con la scritta: “Buongiorno, meraviglia” (perché questo, meraviglia, è il significato di Palmira). Un incontro straordinario riaffiorato dal pozzo della memoria di Federico, oggi impegnato nella cura del video, in parte inedito, di quella giornata con Asaad (Rai 5, il portale della storia e della cultura, l’ha programmato per domenica 25 ottobre, ore 21,15).

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Khaled al-Asaad: per 40 anni (1963-2003) direttore del sito di Palmira, decapitato dall’Isis a 82 anni. Era in pensione dal 2003. Era un musulmano di madre cristiana, beveva vino, scriveva libri. Si era sposato con Hayyat, realizzando un matrimonio benedetto da 11 figli:6 maschi e 5 femmine. Sua figlia Zenobia, che prende il nome dalla regina di Palmira, era custode della collezioni del museo; il marito di Zenobia, Khalil Hariri, dopo aver preso un dottorato in Storia, era diventato il direttore del museo nel 2006.

Federico, raccontaci come andò.

“Con la mia troupe avevo programmato, in una Siria felice prima della guerra civile, una visita a Palmira in tutti i suoi aspetti: l’oasi, le colonne di 30 tonnellate messe in posizione con estrema precisione, il tempio di Baal, le terme e il teatro, le tombe e il museo. Avevo chiesto alle autorità di Damasco di poter essere accompagnato da una guida esperta e loro: ‘Le affidiamo l’uomo che sa tutto di ogni sasso di Palmira’. Asaad era già andato in pensione anni prima, nel 2003, ma rimaneva a disposizione per incontri speciali, sia che si trattasse di capi di Stato (l’avevo visto in foto passeggiare con Francois Mitterrand), ministri o storici dell’arte. Così ci avviammo, su mio suggerimento, a fare la visita a dorso di cammello, come avveniva all’epoca d’oro di Palmira. Anche Asaad cavalcò un cammello, lo stesso su cui era salito l’interprete. Guidava la nostra carovana, con i suoi occhiali fissi per attenuare i danni provocati dalla sabbia sollevata dai venti. Nel silenzio del primo pomeriggio, in un sito povero di visitatori, lui riuscì a trasmetterci, tra bellezze e memorie, il suo amore per quel sito e il senso della storia che Roma impose in passato ai paesi del Mediterraneo. Della antica città restavano testimonianze che stupivano per il loro stato di conservazione. L’itinerario finì nel tempio del dio Baal, l’equivalente di Zeus per i greci e Giove per i romani”.

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Il professor Khaled al-Asaad durante la visita a dorso di cammello a Palmira. Lui è il primo nella foto, seguito dall’interprete e, sul secondo cammello, da Federico Fazzuoli.

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Palmira: un’altra foto del professor Al Asaad (capelli bianchi e occhiali) nel tempio di Bel con Fazzuoli, in camicia rossa.

Che cosa non dobbiamo dimenticare delle parole che ti ha consegnato?

“Che la fortuna di quella terra, trasformata da deserto in paradiso, era dovuta alla sua accoglienza, al suo passato multiculturale e multiconfessionale. Tra il II e III secolo d.C. Palmira era una delle più grandi e importanti città, al pari di Roma, Alessandria e Antiochia. Sorta in vicinanza di una fonte, era la stazione principale della Via della Seta per la Cina. Lo sviluppo aveva arricchito gli abitanti che si erano dedicati a fornire servizi ai commercianti e alle carovane di passaggio, e anche ai visitatori d’alto rango (fra questi gli imperatori romani Traiano e Adriano). E che in quello scenario visse una delle figure più affascinanti della storia d’Oriente: la regina Zenobia, che aveva conquistato la Siria, la Palestina, la Giordania e anche l’Egitto, paese che le diede il soprannome di ‘Cleopatra la bella’. Nel ricostruire la storia di Zenobia, ritrovo altri concetti-chiave del futuro martire Asaad che sono di tragica attualità: «Sconfitta dai romani, Zenobia vide uccisi i suoi più stretti collaboratori ma lei fu risparmiata. Quando l’imperatore romano Aureliano le propose la resa, gli rispose: ‘Posso essere solo una regina vittoriosa, altrimenti scelgo la morte’ Anche oggi noi di Palmira siamo della stessa idea: preferiamo la morte alla resa»”.

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L’immagine del sito archeologico di Palmira appariva sul desktop del computer del suo attivo e studioso custode Khaled al-Asaad, trucidato dai terroristi dell’Isis il 18 agosto scorso. In sovraimpressione sull’immagine, al-Asaad aveva scritto: “Buongiorno, meraviglia”. Perché questo, meraviglia, è il significato di Palmira.

Lui ha preferito essere ucciso piuttosto che rivelare ai suoi boia dove aveva nascosto le opere d’arte destinate a essere vendute in cambio di armi…

“Capolavori che considerava come suoi figli. L’altra idea chiave che mi consegnò è che quando c’era alleanza e cooperazione tra Palmira e il potere di Roma la crescita della città era grandiosa. Quando invece sono cominciati i conflitti, le vie commerciali si sono spostate altrove, è cominciata la decadenza e la regina ha perso tutto: il trono, la terra, il popolo. Le parole finali di Asaad furono una lode alla pace, pace che lui vedeva messa in pericolo dalla penuria d’acqua e dall’aggressività di Israele: ‘ll dialogo pacifico tra le culture e l’intesa tra i popoli forma l’uomo e l’umanità. La guerra è solo distruzione’, aggiunse”.

Ha mai accennato all’Italia?

“Al momento dei saluti svenne per il caldo e l’emozione, si riprese in pochi minuti, poi ho registrato queste parole: ‘Sono felice perché tutte le relazioni tra noi e l’Europa sono fondate sulla pace e sull’uguaglianza dei popoli. Noi ci sentiamo vicini a Roma e all’Italia e mi auguro che il dialogo tra le culture orientali e occidentali continui. Perché è il dialogo che crea la pace permanente e continua, diversa dalla pace superficiale che svanisce non appena il più forte pone in primo piano i propri interessi calpestando il più debole. Ai visitatori amo ripetere, con Marx: chi non conosce la storia è condannato a riviverla. Tutti invochiamo il nostro Dio, il cristiano lo invoca quanto il musulmano o l’ebreo, e tutti noi in fondo abbiamo un unico Dio. Ma allo stesso tempo viviamo nella contraddizione in cui da una parte ci si uccide a vicenda e dall’altra si cerca la vicinanza a Dio’. Quanta distanza dalla terra dei nostri giorni in cui, per dirla con le parole del nostro capo dello Stato Mattarella, sono visibili i germi della terza guerra mondiale”.

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Federico Fazzuoli, classe 1946, è stato il popolare conduttore di Linea Verde (dal 1981 al 1993, programma che è arrivato a toccare 9 milioni e mezzo di spettatori) e di altre trasmissioni dedicate all’arte e alla cultura. Con sua moglie Anita e i tre figli (Flavio, Luca e Giovanna) oggi, pur continuando la sua attività professionale, dà una mano alla gestione dell’agriturismo di famiglia a Terranuova Bracciolini, in Toscana.

A PROPOSITO

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Altre due immagini del reportage di Fazzuoli in Siria che illuminano un altro dramma e un altro “eroe normale” in Siria: sulla strada che porta a Palmira il cronista incontra padre Paolo Dall’Oglio (nato a Roma il 17 novembre 1954) e il monastero di Deir Mar Musa, restaurato da quel gesuita italiano per anni fortemente impegnato nel dialogo interreligioso con il mondo islamico. Padre Dall’Oglio è stato rapito da estremisti islamici il 29 luglio 2013. Da allora si sono perse le sue tracce.

UNA PROFETICA SERATA PRIMAVERILE ALLE PORTE DI MILANO

Quella «Civiltà Ground Zero» predicata dai nuovi barbari vestiti di nero

Al MAIO di Cassina de’ Pecchi (Milano) Salvatore Giannella e Marco Merola avevano portato il pubblico in un ideale giro del mondo nei Paesi, Siria in testa, dove con i conflitti e i lutti c’è anche l’emergenza dei beni culturali

testo condensato da Il Sole 24 Ore.it

I nemici dell’arte e del patrimonio archeologico mondiale non sono più solo i predatori ma anche i… distruttori. Un fenomeno, quello delle devastazioni perpetrate dall’Isis nel Vicino Oriente e in Nord-Africa, che è stato al centro di un incontro organizzato a maggio scorso, presso il nuovo MAIO (Museo dell’Arte In Ostaggio) a Cassina de’ Pecchi, alle porte di Milano, dedicato ai 1.651 tesori culturali trafugati dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale e mai più tornati.

Titolo evocativo della serata “Civiltà Ground Zero”, a voler rimarcare che la stagione delle demolizioni delle opere d’arte da parte dei fondamentalisti islamici è iniziata nell’annus horribilis 2001. A New York cadevano le Torri Gemelle, a Bamiyan si sbriciolavano i colossali Buddha, ‘condannati’ dalla prima assurda sentenza iconoclasta dell’era moderna, emessa dai talebani. Ma Civiltà Ground Zero (che è diventato anche un hashtag, in inglese #Groundzerocivilization) vuol dire anche informare e sensibilizzare il pubblico e le istituzioni mondiali, per evitare che le prossime generazioni nascano in un mondo letteralmente azzerato. Senza memoria e senza testimonianze materiali delle civiltà del passato.

Nel corso dell’incontro al MAIO, presentato dai giornalisti Salvatore Giannella (già direttore dell’Europeo e di Airone) e Marco Merola (cronista specializzato in missioni archeologiche: la più recente l’ha portato nel mare del Giappone alla clamorosa scoperta della flotta del Kubilai Khan scomparsa nel 1281), il pubblico è stato portato per mano in un ideale giro del mondo: Afghanistan, Siria, Iraq, Yemen, Tunisia, Egitto, Tunisia, Libia, Mali, oltre a una puntata nel Balcani, per non dimenticare un’altra pagina nerissima per la cultura e il patrimonio dell’umanità. Ovunque ci sia conflitto c’è un’emergenza beni culturali.

Oggi siamo tutti col fiato sospeso attendendo notizie da Palmira, la meravigliosa città romana nel deserto siriano caduta in mano ai nuovi barbari vestiti di nero ma abbiamo ancora negli occhi la distruzione di Hatra, Ninive e Nimrud, in Iraq, il saccheggio dei Musei di Kabul, Bagdad, Mossul. Pezzi di cultura, tracce del glorioso passato dell’umanità svanite nel nulla, per sempre, cancellate dalle picconate dei fondamentalisti.

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Il nuovo MAIO, Museo dell’arte in ostaggio, inaugurato a maggio scorso a Cassina de’ Pecchi, alle porte di Milano su idea di Salvatore Giannella. Questo granaio della memoria, che ci ricorda i 1.651 tesori culturali trafugati dai nazisti in Italia durante la Seconda guerra mondiale e non ancora tornati a casa, ospita mostre a rotazione, eventi, convegni come quello dedicato alla guerra continua tra predatori e salvatori dell’arte.

Nelle foto e nel video mostrati da Giannella e Merola risiedeva il senso della serata. Il filmato, “Syria”, un coinvolgente montaggio realizzato dal regista Matteo Barzini pescando nelle teche Rai (musica originale del maestro Ennio Morricone), raccontava senza mediazioni e voci narranti tutto il dramma della guerra nel paese dell’Eufrate.

Sullo schermo sono scorse immagini di minareti abbattuti, antiche moschee date alle fiamme, la cittadella di Aleppo e il Krak dei Cavalieri bersagliati senza sosta dall’artiglieria di Assad, ricchezza mortificata, beni di inestimabile valore ridotti a macerie fumanti.

Tra le foto, menzione obbligata per il reportage realizzato da Vittorio Giannella nella Libia romana. Scatti d’autore che hanno immortalato Leptis Magna, Sabratha, Cirene e le “altre” in un momento di pace cui, si spera, non seguano scenari di guerra. Durante il conflitto tra le truppe pro-Gheddafi e i ribelli, lo ricordiamo tutti, Leptis Magna fu protetta dalla popolazione che si strinse fisicamente intorno al sito impedendo l’accesso alle due fazioni in lotta che avrebbero invece voluto occuparla per farne una base logistica.

Proprio questo episodio ha dato modo di affrontare un altro tema particolarmente importante, quello dei salvatori dell’arte. Molta gente comune ma anche archeologi e restauratori che si recano nei paesi in guerra per monitorarne e manutenerne i beni culturali. Tanti gli italiani. L’Università di Udine a Ninive, la Sapienza di Roma a Ebla (entrambi i siti sono in Siria), e ancora l’Università capitolina nella regione di Nassiryia, ad Abu Tbeirah (Iraq). Storie di “ordinario” eroismo e di amore per la cultura del mondo. (Su alcune di questi protagonisti, come il “sottotenente archeologo” Fabio Maniscalco, Giannella Channel tornerà nei prossimi giorni. Ndr).

Nel corso dell’incontro, il primo dei tanti programmati nella cornice del MAIO, non poteva mancare anche una commemorazione di Fabio Maniscalco, il “sottotenente archeologo” napoletano che partecipò negli anni ’90 alle missioni SFOR e ISFOR nei Balcani, con l’esercito italiano. Maniscalco lavorò infaticabilmente per la tutela e il salvataggio dei beni culturali di Bosnia Erzegovina e Kosovo, minacciati dalla guerra e dai furti continui. Nel 2007 fu candidato al Premio Nobel per la Pace. Poi, drammaticamente, morì nel 2008 a causa dell’uranio impoverito, cui era stato esposto, come tanti altri militari italiani, durante le missioni nell’ex Jugoslavia. Quasi nulla di quel che è stato raccontato al MAIO passa nei Tg o guadagna l’onore delle cronache. Ma l’attenzione del pubblico va tenuta alta, perché non bisogna rassegnarsi alla distruzione del patrimonio dell’umanità «pianificata a tavolino, non frutto di improvvisi attacchi di collera» come diceva Oriana Fallaci nel suo “Lamento per i colossi di Bamiyan”, di cui è stato letto il testo messo a disposizione da Edoardo Perazzi, nipote della grande giornalista.

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* Condensato dall’articolo pubblicato il 20 giugno 2015 sul portale del quotidiano della Confindustria diretto da Roberto Napoletano.

A proposito di archeologia ed esplorazione: