DUE ECCELLENZE SI CONNETTONO
A BARLETTA PER UNA NUOVA DISFIDA: L'UMANESIMO MUSICALE
E L'ARTE. E IL 18 LUGLIO A TRANI PARTE UNA MOSTRA DA NON PERDERE
testo di Salvatore Giannella
LA NOTIZIA – La notte dipingevo quadri rossi: si chiama così l’emozionante mostra di arte ebraica che, giovedì 18 luglio 2024, a Trani, viene inauguarata nell’ex Sinagoga Scola Grande, in Strada San Martino. Una mostra che merita di essere visitata anche da chi vive lontano da quella “Atene di Puglia”. Per almeno due motivi: 1) per il valore delle opere esposte (23 opere risalenti a prima, durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, tratte dalla vasta collezione raccolta in anni di lavoro da Roberto Malini e acquisite dalla Fondazione Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria (ILMC) di Barletta, creata dal grande pianista Francesco Lotoro (nella foto d’apertura). 2) Per la storia straordinaria della connessione virtuosa tra due eccellenze umane, incontrate da chi vi scrive per l’assegnazione, in anni diversi, del prestigioso Premio Rotondi ai salvatori dell’arte, assegnato da un quarto di secolo a Sassocorvaro nel Montefeltro marchigiano (più info: www.premiorotondi.it).
Il titolo della mostra fa riferimento sia ai “quadri rossi” dell’artista ebreo polacco Jacob Vassover (1926–2008) che al titolo del romanzo autobiografico La Notte dello scrittore ebreo rumeno Elie Wiesel (Premio Nobel per la pace 1986) in gioventù deportato con i propri familiari ad Auschwitz e Buchenwald. Attraverso il titolo della rassegna tranese si è voluto idealmente evocare un equilibrio emozionale tra questi due straordinari protagonisti della storia, dell’arte e della letteratura del Novecento.
GALLERY

Roberto Malinm, classe 1959, nella cornice dello storico Palazzo Marra di Barletta. Viaggiando in mezzo mondo e con l'aiuto della rete è riuscito a recuperarer (e a donare) centinaia di opere di artisti vittime dell'Olocausto. Il suo eccezionale impegno è iniziato quando, da ragazzo, ascoltò a scuola la testimonianza di Elisa Springer, scrittrice sopravvissuta alla Shoah: "Ragazzi, non dimenticati la tragedia dell'Olocausto e diventate testimoni di pace".
L’altro è Francesco Lotoro, grande pianista, compositore e direttore d’orchestra, docente di pianoforte presso il Conservatorio di musica Niccolò Piccinni di Bari, che in metà dei suoi 60 anni ha salvato la musica scritta dagli internati nei lager nazisti e nei gulag stalinisti. Premiato nel 2023 (sezione Europa) per la sua impresa epocale: costruire a Barletta, con l’aiuto della moglie Grazia Tiritiello, un archivio, unico al mondo, della musica sopravvissuta alla deportazione e nei campi di prigionia. Un progetto affidato a un libro della Feltrinelli (Un canto salverà il mondo. 1933-1953: la musica sopravvissuta alla deportazione) e apprezzato in tutto il mondo: qui un link a un testo dell’inglese Guardian: https://www.theguardian.com/world/2018/apr/16/holocaust-survivor-sings-concert-music-camps-nazis-jerusalem.
“la musica prodotta in prigionia”, scrive Lotoro, “aveva poteri taumaturgici, rovesciava letteralmente le coordinate umanitarie dei siti di deportazione, polverizzava le ideologie alla base della creazione di lager e gulag. Forse non salvava la vita, ma sicuramente questa musica ritrovata salverà noi”. Nell’archivio e biblioteca di Barletta, sotto la tutela del ministero della Cultura, sono conservate oltre 89.000 partiture, 12.500 documenti di produzione musicale (microfilm, diari, quaderni musicali, registrazioni fonografiche, interviste con musicisti sopravvissuti>), 3.000 pubblicazioni universitarie,,

Francesco Lotoro (Barletta, 1964) è autore dell'Enciclopedia in 24 volumi CD KZ Musik (Musikstrasse - ICML), contenente 407 opere scritte in prigionia durante la Seconda guerra mondiale. Attualmente sta lavorando all'edizione dell'Enciclopedia Thesaurus Musicae Concentrationariae, un'opera monumentale in più volumi dedicata alla musica scritta nei èampi di concentramento e a tutti i relativi compositori. Questa immensa eredità artistica e umana che Lotoro è riuscito a raccogliere, è alla base della Fondazione Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria, creata nel 2014 dal musicista con un piccolo gruppo di altri soci fondatori a Barletta, la città pugliese dove nascerà la Cittadella della Musica Concentrazionaria, il più grande hub al mondo dedicato alla musica prodotta nei lager e nei gulag; un luogo in cui il sogno di Lotoro diventa storia, tesoro artistico, culturale e spirituale di tutti.

INFO UTILI – La mostra d’Arte ebraica, che gode del patrocinio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI). sarà visitabile dal 18 luglio al 12 settembre 2024. Apertura da martedì a domenica, ore 9-30-13, 16-19. ingresso con ticket sinagoga (Museo di Storia Ebraica, 4 euro). Ulteriori particolari: info@fondazioneseca.it. (La Fondazione S.E.C.A., ente fondatore del Museo della macchina da scrivere, ha sede presso il Polo Museale di Trani nel Palazzo Lodispoto). Telefoni utili: Fondazione S.E.C.A. 0883.582470; Fondazione Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria (ILMC): tel. 347.0095978, 328.1441279.
A PROPOSITO/UN DOCUMENTO DI FRANCESCO LOTORO
IL MANIFESTO DI UN UMANESIMO MUSICALE
All’epilogo di ogni evento epocale della Storia, dalla distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente sino alla sconfitta del Terzo Reich e al crollo dell’Unione Sovietica, è inevitabile che sorgano moderni “monaci benedettini” con lo scopo di salvare, codificare, tramandare ciò che nelle loro mani diventa cassaforte dello scibile umano, caveau dei tesori spirituali di un popolo o di una intera generazione.
A quasi 80 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, una letteratura musicale cambierà profondamente il linguaggio dell’arte obbligandoci a riscrivere la Storia della Musica del Novecento. Si tratta della musica creata nei Campi di prigionia, transito, internamento civile, lavori forzati, concentramento, sterminio, penitenziari, POW Camps, Stalag, Oflag, Campi di detenzione della NKVD e Gulag dal 1933 (apertura del Lager di Dachau) al 1953 (morte di Josif Stalin e amnistia concessa a civili e militari); la produzione musicale concentrazionaria è l’unica costante dell’ingegno umano nella totale disequazione del collasso civile causato dalla Seconda Guerra Mondiale.
Ogni scontro bellico a media o ampia estensione geografica ha prodotto prigionia civile e militare, terreno nel quale si sviluppa la musica concentrazionaria. i totalitarismi del secolo scorso hanno maturato massacri, privazioni, tragedie, catastrofi e le guerre provocate da questi regimi non furono errori di calcolo politico ma atti pianificati di distruzione territoriale, economica, sociale, umana. Fare musica è un’esigenza fisica, intellettuale e spirituale dell’uomo; deportazione, cattività, torture e altre forme di costrizione non ostacolarono ma incoraggiarono i processi di creazione artistica.
PRODUCEVA CIBO MENTALE E SPIRITUALE. Nel periodo più tragico della Storia del sec. XX il genere umano avviò i meccanismi più evoluti della conservazione del pensiero scatenando una esplosione di creatività. La musica ricreava visioni, rimetteva in circolazione energie ibernate, restaurava architetture dell’anima, fungeva da strategia individuale e collettiva di resistenza tramite la Bellezza, produceva cibo mentale e spirituale non meno indispensabile del cibo fisico, creava connessioni tra uomini e temporalità.
La musica non alienava il deportato dal mondo ma comprimeva il mondo come una palla spugnosa affinché entrasse tutto nel Lager. E’ impossibile immaginare quanto la civiltà umana sarebbe di gran lunga avanti se questa musica fosse circolata all’indomani della liberazione dei Campi.
Non furono Lager e Gulag a modificare l’ispirazione musicale in prigionia ma il contrario. Arriverà il giorno in cui le 8.000 partiture sinora recuperate si riveleranno una piccola parte di una gigantesca letteratura.
CANZONI RIPETUTE SOTTOVOCE PER NON DIMENTICARLE. Perché era così importante per un musicista fare e scrivere musica nei Campi? La risposta migliore è quella di Emile Goué, geniale compositore francese prigioniero di guerra nell’Oflag XA Nienburg am Weser deceduto dopo la liberazione per una malattia contratta nel Campo: “La musica non era un intrattenimento o un gioco ma la stessa espressione della nostra vita interiore. Facevamo musica molto seriamente, senza alcuna ironia. Era impossibile fare grandi cose senza convinzione e la convinzione che l’artista deve portare al suo lavoro è credere nella necessità di ciò che scrive”.
La musica non mistifica la realtà ma la anticipa, precorre i tempi di maturazione sociale della stessa; non aspetta prove scientifiche o documentaristiche poiché ha già elaborato il tessuto reale. L’ebreo ucraino Alexandr Aronovič Pečerskij detto Saša, ufficiale dell’Armata Rossa, condusse la rivolta dell’ottobre 1943 nel Campo di sterminio di Sobibór ordinando di squarciare i reticolati e facendo fuggire i deportati oltre il campo minato che circondava il Lager. Il polacco Aleksander Kulisiewicz inviò fuori da Sachsenhausen messaggi su cartoline nelle quali alcune sillabe erano appositamente scritte in tedesco errato, rivelando in piena guerra esperimenti medici compiuti su ebrei e prigionieri di guerra sovietici; memorizzò 716 canzoni create dai suoi compagni di deportazione ripetendole sottovoce per non dimenticarle.
Questi musicisti non erano soltanto dotati di genio e talento ma anche di incrollabile fiducia nell’uomo e, a dispetto delle circostanze, immaginavano futuri più vasti e di inenarrabile splendore della mente e dell’anima; è arrivato il momento di ricambiare la loro fiducia.
“Cantavamo, suonavamo, battevamo le mani a ritmo; noi conoscevamo il senso della vita”, scrisse un sopravvissuto; il canto del prigioniero in luogo del canto dell’uomo libero diventa canto libero.
Come la pietra di un castello o il ghiaccio dell’Antartico conserva lo storico dell’azione umana della quale sono stati testimoni, così questa musica conserva lo storico dei Campi e l’apparato emozionale e umanitario che si cela in quelle opere; questa musica è il Manifesto di una prossima civiltà.
In cattività i musicisti inaugurarono l’ultimo capitolo della musica del Novecento e il primo capitolo della musica contemporanea. A essi si aggregarono come un sol uomo gruppi sociali, etnici, musicisti di qualsiasi punto della Terra toccato dalla Guerra e risucchiati nell’imbuto della Storia.
PRIMO CAPITOLO DEL FUTURO. Al di là della catastrofe umanitaria, l’universo concentrazionario ha provocato una anomalia della storia del pensiero e dell’Arte. Questo fatidico ultimo capitolo non è stato completato e noi siamo ancora in attesa di scrivere l’ultimo capitolo del passato e il primo capitolo del futuro.
Restaurare, recuperare, restituire, il segreto è nel prefisso “re-“; l’ingrediente principale è il tempo, non nella sua cadenza quotidiana ma nella sua massima estensione sino all’interminabile. Quando saremo consapevoli della grandezza di opere scritte in prigionia e deportazione, ridisegneremo prospettive d’Arte, rileggeremo l’estetica musicale del Novecento attraverso inediti termini di paragone, godremo di una più elaborata sinossi della fenomenologia musicale europea ed euroasiatica; la rinascita del pensiero musicale dei Campi non è una libera scelta, è una missione.
La ricerca musicale concentrazionaria nutre l’ambizione di trasformare una immane catastrofe nella più grande possibilità che oggi l’uomo ha per migliorare l’arte, la musica, il pensiero creativo e le emozioni più profonde e insondabili dell’intelletto. Recuperare questa musica equivale a ricostruire scuole e ospedali distrutti dalla guerra, rilanciare processi educativi compromessi da deportazioni e catastrofi umanitarie, rimettere in ordine alfabetico i grandi libri dello spirito.
GRAZIE A TANTI SCONOSCIUTI. Pur di aiutare le mie ricerche, sconosciuti o pensionati o ex deportati o studenti di Conservatorio non hanno esitato a spedirmi qualche centinaio di euro senza che io potessi contraccambiare se non un sentito grazie. Viceversa, grandi istituti o illustri artisti o persone capaci di aiutare queste ricerche, tutte da me interpellate e in anticipo omaggiate di libri e dischi, non hanno dato un solo centesimo.
Sulle ceneri della ex Distilleria di Barletta, a sfida di un sentimento diffuso in base al quale molto è stato promesso e poco mantenuto, nascerà la Cittadella della Musica Concentrazionaria. Oggi siamo in attesa che il progetto divenga cemento, marmo, ferro, scaffali, aule, palcoscenico e porte aperte a coloro che ameranno la musica più drammaticamente geniale del Novecento. []
Post scriptum. Per sostenere le lodevoli attività culturali della Fondazione ILMC è possibile inviare un bonifico bancario all’Iban di Banca Intesa San Paolo: IT94 Y030 6909 6061 0000 0103 682. CAUSALE: Donazione per attività culturali alla Fondazione ILMC. Sito web: www.fondazioneilmc.it | Email: info@fondazioneilmc.it (s. gian.)